Olympiacos-Siena a parti invertite, cosa può cambiare (by @beppaccio)

Giuseppe Nigro, che chi segue questo blog ha già letto precedentemente, continua la sua analisi della serie dei playoff di Eurolega tra Olympiacos Pireo e Montepaschi Siena. Qui con un nuovo genere letterario: il preview last-minute. A voi.

Solo il trasferimento al Pireo dirà se gara-due ha girato la serie tra Montepaschi e Olympiacos. Ma di certo Siena ha cominciato a fare la serie, invece che a subirla. Ha costretto i greci a trovare contromisure al post basso di Moss e Thornton e alla bidimensionalità di Andersen, li ha puniti coi giochi a due tra Rakocevic e Lavrinovic, invece di inseguire la squadra di Ivkovic come era stato in gara-uno sulla strada del doppio play e non solo.

Tutto bello, e a 6′ dalla fine Siena era ancora a +12, eppure non c’è mancato molto che finisse come in gara-uno. Perché? Innanzi tutto per i cinque rimbalzi d’attacco concessi nei primi cinque minuti del quarto periodo a un Olympiacos già bravo a punire la strategia senese di aiuto e recupero sui giochi a due. Poi perché McCalebb non si è mai accorto dei cambi difensivi che lasciavano Andersen contro un piccolo.

Quando è entrato Zisis e li ha puniti, l’Olympiacos ha smesso di cambiare: spiazzata, Siena si è impantanata in attacchi ai 24 secondi cambiando lato senza aver costruito niente, in cui servire Andersen e aspettare che inventasse qualcosa (ha conquistato falli). E’ così che Siena di fatto non ha più segnato su azione negli ultimi cinque minuti, sbagliando oltretutto quattro degli ultimi sei tiri liberi (erano stati quattro degli ultimi cinque in gara-uno): a un primo conto della serva, è qui che Siena ha rischiato di buttare via una partita eccellente per tre quarti e mezzo.

E ora? Pur essendo rimaste ancora inesplorate molte varianti tattiche, la storia di questo tipo di serie dice che non necessariamente ci sono rivoluzioni copernicane in ogni partita rispetto alla precedente: lo conferma lo svolgimento simile delle prime due gare, pur con le differenze tattiche evidenziate. Ma certo il trasferimento della serie in Grecia cambierà le carte in tavola, anche solo nell’atteggiamento delle squadre: di chi dovrà fare la partita e chi giocherà di rimessa, direbbero nel calcio.

Siena riuscirà ancora a tenere Spanoulis (almeno direttamente) fuori dalla serie? Cambierà qualcosa nel difendere sui suoi pick&roll per evitare che si accenda ancora chi, come Antic e Printezis, è bravissimo ad approfittare degli spazi che si aprono altrove? McCalebb e Andersen, già protagonisti nelle prime due partite, potrebbero calare? Poi c’è l’incognita Lavrinovic: perchè ha giocato meglio gara-due tornando in campo dopo 48 ore piuttosto che gara-uno da riposato? Serve la prova affidabile di uno tra l’australiano e il lituano per stanare Dorsey e Papadopoulos col tiro da fuori o punire i cambi difensivi.

Su un campo in cui quest’anno è passato solo il Cska, Siena ha bisogno di capire se vuole vincerla con migliori percentuali dalla media distanza, e l’anno scorso funzionò coi canestri inventati da Hairston e Jaric ma anche Kaukenas e Rakovic, o se è meglio ampliare il raggio di tiro e cercare di più il tiro da tre: solo tre volte in venti partite quest’anno la squadra di Pianigiani aveva avuto meno tiri da oltre l’arco che con l’Olympiacos (16 e 13), e aveva segnato meno delle 5 triple di gara-uno e due solo nei due ko a Barcellona e con Kazan.

La differenza è quella tra prendersi i jumper nelle pieghe lasciate dalla difesa greca sperando di essere in giornata, o piuttosto riuscire a mettere la palla dove si vuole, lavorando più e meglio per costruirsi piedi a terra da tre punti. Come? Portando la palla sotto (spalle a canestro ai lunghi o agli esterni di post basso, sui tagli dei lunghi nei giochi a due, con le penetrazioni dei palleggiatori) e poi riaprendola fuori a tiratori affidabili approfittando degli spazi che la difesa dell’Olympiacos collassata in area ha in verità lasciato sul perimetro più durante la stagione che nel corso di questa serie.

La differenza torna a essere dunque mentale. Tra inseguire i greci, prendendo i tiri che lasciano, o costringerli a inseguire, provando a prendersi i tiri che fin qui non si è riusciti a costruire come al solito.

La Francia riforma i suoi campionati di basket

Ecco quello che è stato deciso oggi a Parigi (tradotto dal sito ufficiale della Lega, lnb.fr)

Dal 2013-14 la Pro-A sarà composta da 18 squadre, 16 delle quali per diritto sportivo e 2 tramite invito.

Il campionato si svilupperà dunque su una regular season di 34 giornate più i playoff (quarti e semifinali al meglio delle 3 partite con format 1-1-1, finale al meglio delle 5 con format 2-2-1, oggi la finale si gioca su partita secca a Parigi).

Come verranno gestiti gli “inviti”: si stabiliranno dei criteri in funzione di impianti, budget, governance e struttura amministrativa, settore giovanile. Tutto questo sarà definito entro il 30 giugno.

I club di Pro-B interessati a richiedere l’invito dovranno presentare un dossier di candidatura entro il 30 marzo: il tutto sarà analizzato da una commissione indipendente che proporrà le società da invitare alla Lega.

In nessun caso una società retrocessa dalla Pro-A al termine della stagione 2012-13 potrà chiedere di essere riammessa tramite invito.

In funzione delle candidature presentate (cioé se ce ne sono tante qualitativamente interessanti) si potrebbe pensare di allargare il campionato a 20 squadre.

Nuove proposte per la riforma del campionato di Pro-B arriveranno entro il 20 maggio.

Riforma del campionato Espoirs Pro-A (sempre dalla stagione 2013-14)

Il campionato dovrà terminare entro fine aprile. Le giornate previste originariamente nel mese di maggio si disputeranno attraverso degli “showcase” prima dell’inizio della regular season della Pro-A. (Al momento, invece, le squadre “Espoirs” di Pro-A seguono esattamente lo stesso calendario). Tra gli “Espoirs” possono giocare ragazzi tra i 15 e i 20 anni di età.

Il mese di maggio sarà invece riservato a una nuova competizione che metterà a confronto le squadre Espoirs Pro-A, le migliori formazioni di NM2 (la quarta serie) non qualificate per i playoff (cioé la terza e la quarta in classifica) e la squadra del Centro Federale (già nota come INSEP), che ha un posto fisso in NM1.

Trophée du Futur

Questa competizione, una Final Eight che si disputa al termine della regular season, rimarrà con la sua formula attuale. Si potrà studiare l’inserimento del Centro Federale e delle migliori squadre del campionato federale Under 20 (i campionati “Espoirs” sono gestiti direttamente dalla Lega).

Dal 2012-13, inoltre, le squadre Espoirs Pro-A potranno partecipare alla Coppa di Francia, entrando in scena insieme alle squadre di NM3 (in Coppa di Francia tutte le squadre affiliate alla Federazione partecipano, entrando a scaglioni nella competizione, non è chiusa solo alle formazioni della massima serie).

Durante il primo anno di contratto professionistico, inoltre, i giocatori potranno continuare a militare nel campionato Espoirs.

Camp LNB

I giocatori Espoirs senza contratto e quelli della stessa categoria di età che giocano in NM1 e nella NCAA parteciperanno a un camp che gli darà la massima esposizione possibile. Tutti gli allenatori di Pro-A e Pro-B saranno convocati per partecipare e visionare questi atleti.

Espoirs Pro-B

I club di Pro-B dovranno partecipare obbligatoriamente al campionato federale U20.

Queste stesse formazioni parteciperanno alla Coppa di Francia entrando, come gli Espoirs Pro-A, insieme alle squadre di NM3 dalla stagione 2012-13.

Da notare che le società di Pro-B non hanno l’obbligo di avere un vero e proprio “Centre de formation”, ma verrà stabilito un sistema di bonus/malus per premiare le società virtuose nell’utilizzo dei giovani giocatori. Sarà la Lega a ridistribuire questa somma in funzione dei criteri che verranno scelti.

Pietro

Seth Mitchell. L’uomo che vorrebbe essere Re

Basta, non se ne può più. L’America è stanca. L’America ha bisogno di nuovi eroi. L’America vuole un nuovo campione. Non che non ce ne siano, nella boxe come in tante altre discipline, ma manca “quello vero”, il dominatore, il pezzo grosso. Il peso massimo, insomma.

L’America vuole un nuovo “heavyweight champion of the world” capace di riempire le arene, dare alle persone un motivo di spendere decine di dollari per il pay-per-view, smetterla di pensare ai tempi che furono, stroncare il dominio di Wladimir e Vitali Klitschko, dallo stile talmente noioso che la HBO non vuole nemmeno più trasmettere i loro incontri negli States.

“Tutti vogliono i campioni americani nei pesi massimi: se i Klitschko fossero americani, tutti sarebbero pazzi di loro”. Parola di Seth Mitchell: e chi è, direte voi? Seth è un pugile, peso massimo, compirà 30 anni il prossimo 29 maggio. Tra poco più di un mese, il 28 aprile, affronterà Chazz Whiterspoon (30-2 il record, 22 k.o.) in quello che sarà certamente il test più attendibile di una carriera iniziata quattro anni fa.

Mitchell non aveva tra i suoi sogni quello di diventare il nuovo Joe Louis. La boxe gli è capitata per caso. Giocava a football, e anche molto bene, come linebacker per la squadra della Michigan State University. Uno dotato, uno bravo, tanto che al suo ultimo anno di liceo (Gwinn Park High School a Brandywine, MD) era stato scelto come “Defensive Player of the Year” dalla Associated Press per lo stato del Maryland. Uno che, però, ha visto la sua carriera finire sul nascere dopo varie operazioni al ginocchio sinistro. Ma il football, in un certo senso, lo ha portato sul ring.

Dopo aver chiuso la sua esperienza universitaria con in tasca una laurea in “Criminal Justice”, Mitchell se ne stava a casa sua la sera del 10 giugno del 2006, a guardare la televisione. C’era la boxe. Ma soprattutto c’era il debutto da professionista di Tom Zbikowski. E chi è, ridirete voi?

“Tommy Z” aveva incrociato Mitchell sui campi di football, quando portava i colori di Notre Dame nel campionato NCAA. Ha firmato da poco per gli Indianapolis Colts nella NFL (gioca nel ruolo di defensive back), dopo aver giocato per i Baltimore Ravens. Quel 10 giugno, però, Zbikowski salì sul ring contro Robert Bell: vinse al primo round per k.o. tecnico.

“Vederlo combattere mi ha rimesso in circolo la voglia di competizione: se c’era riuscito lui, potevo farcela anche io”, pensò Mitchell. Da notare che quello fu l’unico incontro di Zbikowski fino all’anno scorso, quando a causa del lockout della NFL è tornato sul ring per alimentare la sua voglia di sport: altre tre vittorie, due delle quali prima del limite, combattendo tra i pesi massimi-leggeri.

Il primo di Seth allenatore è stato Andre Hunter, stupito dalla facilità con cui riusciva a stendere dei professionisti in allenamento. Mitchell ha portato sul ring i colori degli Spartans di Michigan State (bianco e verde), e pure il suo vecchio numero sui calzoncini (il 48).

La sua crescita come pugile è impressionante: negli ultimi nove incontri ha vinto sempre prima del limite, boxando per un totale di venti round (solo una volta si è andati oltre il terzo), mandando al tappeto un avversario dopo l’altro. L’ultimo è stato Timur Ibragimov (30-4-1), elemento dal record rispettabile anche se non si può dire che appartenga al gotha del pugilato. Non è durato nemmeno due round. Il record complessivo degli ultimi nove avversari schienati da Mitchell, al momento di salire sul ring con lui, era di 169 vittorie, 65 sconfitte e 12 pari. Pochi, dunque, gli avversari davvero comodi, record alla mano. Il suo, di record, parla di 24 vittorie e 1 pari, con 18 successi prima del limite.

Mitchell sembra essere, oggi, l’unica vera speranza nel panorama dei pesi massimi statunitensi, dopo che negli ultimi cinque anni si sono avvicinati ai fratelli Klitschko Chris Byrd, Calvin Brock, Ray Austin, Lamon Brewster, Tony Thompson, Hasim Rahman, Eddie Chambers, Chris Arreola, Kevin Johnson e Shannon Briggs, tutti respinti con perdite.

Rahman, tra l’altro, è stato l’ultimo statunitense ad avere alla vita una cintura tra le più prestigiose (Wbc), mentre Briggs vinse in maniera rocambolesca la cintura Wbo nel 2006 contro Sergei Liakhovich, all’ultimo secondo di un match che stava perdendo ai punti su tutti e tre i cartellini, per poi perderlo subito in una resa incondizionata contro Sultan Ibragimov. Nessuno di quei nomi, comunque, poteva rappresentare una seria minaccia per gli ucraini.

Per affrontare i Klitschko servono sia la velocità che la potenza: io le ho entrambe”, assicura però Mitchell, che dovendo boxare invece che placcare ha dovuto anche modificare il suo regime di allenamento. “Ho dovuto allungare i miei muscoli rispetto al corpo che avevo già preparato per il football”, ha spiegato. Comincia presto, con la sveglia alle 4:30 per la corsa mattutina.

Quando ho iniziato a boxare l’ho fatto pensando di poter avere successo in questo sport, e quando lo lascerò spero di stare in salute, di avere una buona sicurezza economica e di essere stato il miglior pugile possibile”. Se il “migliore possibile” significherà “new heavyweight champion of the world”, però, ancora non lo sappiamo.

Pietro

(Ringrazio i riferimenti forniti da Boxrec.com per i virgolettati. Fonti: mlive.com, msuspartans.com, AFP)

Triste giorno per i cultori del genere: si ritira David Tua

David Tua Retires: Taking a Look Back at His Career – Boxing News.

Il 39enne pugile battente bandiera neozelandese David Tua lascia l’attività dopo 52 vittorie (43 prima del limite, 4 sconfitte e 2 pareggi. Finisce l’era di uno dei personaggi “cult” della boxe mondiale, per il suo look e per la struttura fisica decisamente inusuale per un pugile di alto livello (178 cm per 110.8 kg al peso ufficiale del suo ultimo incontro, quello perso contro il non eccezionale Monte Barrett).

Sul ring si è fatto valere per la potenza del suo pugno, che lo ha portato anche a sfidare Lennox Lewis per il titolo dei pesi massimi: perse nettamente ai punti l’11 novembre del 2000. Prima ancora, nel 1992, sorprese tutti a Barcellona, prendendosi il bronzo olimpico.

Nel link qui postato in cima a questo articolo trovate la sua intervista su Boxingscene.com, in cui parla della sua decisione di lasciare l’attività.

Non so dire perché ci si affezioni così tanto ad atleti come Tua: forse perché non avendo dei fisici “strutturati”, per quello che sarebbe il normale livello richiesto dalla competizione, danno una speranza a tutti di poter arrivare in alto, con tanto allenamento e sacrificio. Quindi, almeno per questo, va ringraziato.

Pietro

Signore, Signori: Gianmarco Pozzecco Raw&Uncut

Per alcuni un eroe. Per altri è stato un rivale. Per moltissimi altri un deficiente. Il Poz è quello che è, avrà pure mille difetti ma ha vinto uno scudetto e una medaglia d’argento alle Olimpiadi giocando e vivendo a modo suo. E quando l’Italia, poco prima, ha sconfitto gli USA lui c’era. Quindi massimo rispetto per l’uomo che mi ha “cambiato la vita” (lo dice lui e non ho modo di smentirlo, per ora).

Liquidiamo la domanda “seria”: perché solo Siena avanza in Eurolega e le altre no?

“Avanza perchè vince e vince perchè ben organizzata (Minucci), ben allenata (Pianigiani), ha grandi giocatori, anche se non ha una gran tradizione datatissima se la sta costruendo rapidissimamente, ha un sesto uomo importante (pubblico). Milano non vince…”.

Metti in ordine i tuoi sportivi preferiti con un aggettivo che li definisca.

“Zvonimir Boban come calciatore mi è sempre piaciuto, ma raramente in vita mia ho potuto apprezzare dichiarazioni – e non solo considerando il panorama sportivo – tanto sagge ed oneste come quelle dell ex rossonero. Beh, in assoluto un uomo da rispettare ed ammirare. Aggettivo? Come piace dire a loro dell’ex Yugoslavia: super! Anna Marconi, ex sciatrice e mia ex fidanzata: persona fantastica. Auguri a lei ed a Manuel, suo futuro marito. Naseem Hamed, “the Prince”. Spettacolarmente clamoroso!”.

Se dovessi riassemblarti, da chi prenderesti: le mani; le gambe; il busto; la testa.

Le mani: Michael Ray Sugar Richardson il piú eclatante talento mai visto dal vivo dal sottoscritto su un campo da basket! Le gambe: Allen Iverson. Ho partecipato insieme a lui ad un evento organizzato dal mio amico Piero Gaiardelli a Varese e mi sentii ridicolo atleticamente rispetto al folletto americano. Il busto: Larry Middelton. La volta che lo vidi spogliarsi ad un All Star Game a Napoli capii in anteprima l’importanza che avrebbe avuto il 3D. Torace imbarazzante, che nel suo perfetto stile di tiro sprigionava tutta la sua potenza. La testa: la mia se no con questo corpo si diverte un altro!!!”.

Preferisci (e perché): Angelo Reale o Tomas Van Den Spiegel?

“Due persone meravigliose con caratteristiche non solo fisiche molto simili. Una su tutte: l’intelligenza! Prendo il Gabbiano Reale che mi deve fare il giardino a casa mia. Ma attenzione… da non crederci, ho appena letto su Twitter il post di Tomas: vorrei andare al campetto con il Poz per fare il culo a tutti. Ho risposto…perchè non nella NBA? Quindi pari!”.

Preferisci (e perché): Romeo Sacchetti o Carlo Recalcati?

“Due grandissime persone prima che due grandissimi allenatori. Con Charlie ho condiviso gli unici successi della mia carriera e non è un caso. Con Meo ho vissuto l’anno piú bello e gratificante della mia carriera. Devo dire Meo, anche perchè sabato lo vedo a Sassari e non vorrei s’incazzasse”.

Preferisci (e perché): vivere a Milano o Bologna?

“Bologna é stata per anni la città piú bella d’Italia, ma ha perso molto del suo fascino e della sua spensieratezza. Milano ti regala molti troppi vantaggi. Infatti vivo a Milano. E poi c’è il mio amico Misani, che a Bologna non c’è!”.

Preferisci (e perché): Mario Fasone o Ugo Bartolini?

“Mario Fasone (lo sdentato), Gianfranco Bottino, Orso ed io siamo i Fantastici 4 e Massimo Fergnani è Silver Surfer o Self Service, come diceva il mitico Mario. Ma prendo Ugo che batterebbe piú o meno chiunque. Una delle piú belle persone che abbia mai avuto la fortuna di conoscere!”.

Che ne pensi di Stefano Mancinelli capitano della Nazionale?

“Mancio capitano della Nazionale vuol dire che il tempo passa inesorabile. La prima volta che lo vidi me lo presentò il Menego a Milano, dipingendomelo come un grandissimo. Mai parole furono piú azzeccate. Quello che hanno fatto lui e Zanus Fortes in due momenti delicati della mia carriera non lo scorderò mai e gliene sarò grato in eterno. Mancio capitano, o mio capitano!”.

La più importante di tutte: quanto sei scarso e quanto durerai come telecronista?

“Come telecronista ho grandissimi margini di miglioramento e non ne ho di ‘peggioramento’. Ma amo il basket e ho grandissimo rispetto dell’enorme sacrificio che tutti i protagonisti che devo giudicare ci mettono ad ogni gara, e ho la fortuna di essere ‘atifoso’! Inoltre sfrutto l’occasione per ringraziare persone che, a partire dal fantastico Ugo Francica Nava, passando per i vari Niccolò di Thiene, Edoardo Miceli, Pietro Fassari, Eric Valsecchi e il boss Giancarlo Lavini, mi fanno vivere in un contesto di squadra che poche volte ho avuto la fortuna di ritrovare in carriera! Grazie ragazzi e grazie La7 e La7d siete uno spettacolo! P.S. Grazie Nino Pellacani i tuoi complimenti mi hanno veramente colpito. A quelli che non la pensano come lui non vi preoccupate prima o poi inizio ad allenare e li saranno cazzi!!!”.

Pietro

Siena-Olympiacos 0-1 e palla al centro

La brutta notizia per Siena, dopo la sconfitta interna 75-82 con l’Olympiacos in gara-uno dei quarti di finale, è che la serie è appena iniziata e ha già esaurito o quasi i bonus: dovrà battere i greci, che sono appena venuti a violare il Palaestra, in tutte le prossime tre gare o in tre delle prossime quattro. E per riuscirci dovrà vincere al Pireo: c’è riuscita l’anno scorso, ma quest’anno ne è stato capace solo il Cska
 
La brutta notizia è che dovrà farlo dopo che l’Olympiacos ha dimostrato di non essere affatto dipendente da Spanoulis (i soli 23′ giocati e la sua uscita per falli, con un paio di sfondamenti che non sempre per status gli vengono fischiati, sono un altro bonus buttato al vento): senza lui in campo negli ultimi cinque minuti la squadra di Ivkovic è passata da -3 a +8, dopo essere già tornata da -6 a +1 quando era andato a riposarsi in panca nel secondo quarto.
 
La brutta notizia è che, se l’Olympiacos non lo è stato con Spanoulis, la Montepaschi si è dimostrata invece Andersen-dipendente (e buttare via il massimo stagionale – 28 punti – del colpo del mercato estivo è un altro bonus gettato alle ortiche): dal +7 a 5′ dalla fine non ha segnato nessun altro, Siena ha smesso di costruire tiri e creare gioco, si è limitata a dare palla all’australiano e a McCalebb fermandosi a guardare cosa inventavano.
 
Ma, a quel punto anche meglio difendibili non solo perché stremati, nel finale hanno sparato a salve anche loro. E già con loro in panchina a cavallo dei primi due quarti si era scesi dal +6 al -1. Non è un caso che la Montepaschi sia risalita dal +2 al massimo vantaggio di +10 quando a cavallo degli ultimi due periodi ha trovato produzione di punti credibile altrove nelle iniziative di Rakocevic e Zisis, poi spenti e/o tolti.
 
E a proposito di bonus sprecati c’è quello dell’energia del più giovane Olympiacos che, decisiva per il cambio di passo già negli ultimi minuti di gara-uno, sarà un fattore ancora di più col passare della serie al ritmo di una partita ogni due giorni. E c’è quello dei rimbalzi offensivi: Siena (10) ne ha presi più dei greci (8), che invece in questa fase dovevano essere straripanti.
 
Evidentemente ci si è preparata bene la Montepaschi, come si era preparata bene sul contenimento dei giochi a due orchestrati da Spanoulis, perdendo concentrazione o comunque efficacia contro gli altri annunciati pericoli, Printezis e Hines, o anche lo stesso pick&roll se gestito – come nel finale – da Law invece che dalla stella greca. E ancora non si sono visti Antic e Dorsey ai loro migliori livelli di incisività.
 
La più grande mancanza di Siena, comunque, è nei motivi dei soli 75 punti segnati: l’unica volta che ha segnato di meno, in casa, finì ko contro Kazan. E i motivi sono nella mancanza di produzione offensiva al di fuori dei soliti noti, a cui per l’occasione si è aggiunto a tratti Rakocevic, lanciato titolare. Il grande assente è stato Ksistof Lavrinovic, innervosito dai falli e mai in partita: per di più senza Michelori e con Ress in campo 5′, la coperta là sotto è parsa cortissima.
 
Ma per quasi tutta la sera la Montepaschi ha solo inseguito i quintetti dell’Olympiacos, giocando coi due play o con un play e Rakocevic, invece di imporre l’assetto con Thornton e Moss insieme a cui i greci non hanno una risposta, e che quando proposto a inizio ripresa ha funzionato bene, limitato poi dai falli di Moss e dalla perdita di pulizia di Thornton.
 
Imporre l’assetto più robusto significherebbe dare cittadinanza nella serie a gente come Aradori e Carraretto che altrimenti non vedranno il campo, assottigliando terribilmente la rotazione (i due americani e i due italiani hanno fatto 9 punti in quattro in gara-uno): mandare loro, invece del secondo play, su Mantzaris, Sloukas o Gecevicius non creerebbe scompensi negli accoppiamenti.
 
Loro e il miglior Lavrinovic, oltre al solito Andersen, sono i giocatori ideali per punire la tendenza dell’Olympiacos a scoprirsi sul perimetro dopo che la palla arriva sotto, portata dalle penetrazioni dei tre palleggiatori (McCalebb, Zisis, Rakocevic) o dal gioco spalle a canestro di Andersen, Thornton o Moss. Contestualizzando il tutto a una partita che a inizio quarto periodo Siena aveva in pugno sul +10 e in cui a 2’30” dalla fine si era ancora in parità: molto si è visto, ma molto questa serie ha ancora da dire.

Per seguire bene Siena vs Olympiacos (by @beppaccio)

Giuseppe Nigro, giornalista, amico e profeta, introduce ai lettori di questo blog la serie di playoff tra Montepaschi Siena e Olympiacos Pireo, che si ritrovano per la seconda stagione consecutiva ai quarti di finale di Eurolega. We’re talking about basketball, ovviamente.

IL SITO DELL’EUROLEGA

Il dato immediato della serie tra Montepaschi e Olympiacos è il rematch della serie dell’anno scorso, vinta da Siena col ribaltone fragoroso dopo il -48 di gara-uno. Rispetto ad allora, al Pireo non ci sono più Teodosic, Nesterovic, Papaloukas e Bourousis, per citare solo i più titolati. Oltre a Rakovic, Siena non ha più Jaric e Hairston, che furono i protagonisti della serie, ma ha aggiunto Andersen, Rakocevic, Thornton e di fatto McCalebb, allora solo convalescente.
Da quando ci sono i playoff, 21 serie su 27 sono state vinte da chi ha portato a casa gara-uno. Delle sei eccezioni, tre sono arrivate l’anno scorso: tra queste, il playoff tra toscani e Reds.

MILLE CHIAVI
E’ impressionante la parata di opzioni che i roster di Montepaschi e Olympiacos hanno nel proprio arsenale. Per questo è appassionante pensare alle possibili chiavi della serie, mille, sapendo bene che se ne potrebbero vedere a manciate nella stessa partita, e che di contro alcune potrebbero non vedersi mai. E in una serie a tre, quattro, cinque partite, quello che vale una sera, potrebbe non contare più 48 ore dopo o nel resto del confronto. Non sarà la serie la partita a scacchi tra Ivkovic e Pianigiani (l’anno scorso a senso unico), lo sarà ogni singolo possesso: 750-800 partite a scacchi in tre settimane.

IL CAMMINO MONTEPASCHI
Siena ci arriva avendo vinto 11 partite su 16. Ha perso le ultime due delle Top 16, a qualificazione di fatto in tasca, dopo averne vinte otto di fila a cavallo tra la prima fase e l’inizio della seconda: nel frangente ha tenuto tutte le avversarie sotto i 70 punti tranne il Barcellona, comunque battuto e tenuto a 74. In casa in stagione la Montepaschi ha perso con Kazan e Real; fuori, al di là di Lubiana e Gdynia, è stata capace di vincere in casa di Unics e Galatasaray, e di stravincere a Madrid e Malaga.

IL CAMMINO OLYMPIACOS
L’Olympiacos arriva ai quarti dopo un cammino di 9 vittorie e sette sconfitte. Sull’orlo dell’eliminazione, ha chiuso le Top 16 con tre vittorie su quattro. Anche nella prima fase ha chiuso con cinque vittorie nelle ultime sei gare: occhio quindi anche all’interno della serie con Siena, eventualmente, a darlo per morto troppo presto. Fuori casa ha vinto solo sui parquet di Nancy ed Efes, ma al Pireo è passato solo il Cska (e non fa particolarmente testo).

COME CI SI ARRIVA
La Montepaschi è stata la migliore nelle Top 16 al tiro da tre (44,7%) e per numero di palle perse (8,8). Ma il periodo di brillantezza offensiva pare lontano: a parte la sparatoria col Real, negli ultimi 40 giorni ha segnato almeno 80 punti solo in finale di Coppa Italia con Cantù.

McCalebb, in doppia cifra da 14 partite di fila, è stato il top scorer della Top 16 a 16,8 punti di media. Vassilis Spanoulis invece è stato nominato mvp del mese di febbraio: non si vedranno sempre l’uno contro l’altro, ma il manifesto della serie è la sfida tra le loro individualità e tra i sistemi di basket che si sviluppano intorno alle loro caratteristiche.

LA BATTAGLIA DEI POSSESSI – PRO SIENA
La Montepaschi ha fin qui orientato in proprio favore il numero di possessi grazie alla propria gestione del pallone. E’ la squadra che perde meno palloni in Eurolega, il 14,7% dei possessi. Ed è dopo Panathinaikos e Barcellona la squadra che costringe le avversarie al maggior numero di palle perse, il 19,5% dei possessi. Un numero vicino alle perse dell’Olympiacos, che arrivano nel 19,2% dei possessi: una persa ogni cinque palloni giocati.

LA BATTAGLIA DEI POSSESSI – PRO OLYMPIACOS
L’Olympiacos ha fin qui orientato in proprio favore il numero di possessi grazie alla propria forza d’urto sotto i tabelloni. Già squadra sopra la media per percentuale di rimbalzi difensivi presi (72,5%), i greci aumentano il numero di possessi andando a prendere sotto il tabellone avversario il 31,6% dei palloni disponibili: solo il Panathinaikos fa meglio tra chi è arrivato fin qui. Praticamente l’Olympiacos si riprende un pallone ogni tre tiri sbagliati: un dato molto simile a quello dei rimbalzi offensivi concessi dalla Montepaschi, che sotto il proprio tabellone lascia alle avversarie il 31,7% dei palloni.

LA BATTAGLIA DEI POSSESSI – TIEBREAKER
Tra il saldo perse/recuperate di Siena e i rimbalzi dell’Olympiacos, avrà la meglio chi riuscirà ad attaccare il punto di forza degli avversari. Se permanesse l’equilibrio, la parità di possessi sulla carta premierebbe la Montepaschi. Siena ha infatti un miglior coefficiente offensivo (108,1 punti segnati ogni 100 possessi, dietro solo a Cska e Panathinaikos tra chi è arrivato fin qui: l’Olympiacos è a 104,6), e soprattutto un coefficiente difensivo molto migliore: 96,9 punti subiti ogni 100 possessi, contro i 103,7 dell’Olympiacos, di gran lunga la peggiore tra le squadre arrivate fin qui. Tutto questo sulla carta e fin qui, solo il campo dirà come si accoppiano le squadre.

DIFESA SIENA VS ATTACCO OLYMPIACOS
L’Olympiacos ha avuto il sesto attacco più produttivo dell’Eurolega con 77,4 punti segnati di media pur essendo terzultimo per tiri dal campo (57,4), perché è primissimo per viaggi in lunetta (23,8): praticamente va a tirare due liberi ogni cinque tiri su azione.

L’Olympiacos è comunque quarto per percentuale da due (53%), riuscendo a trovare da sotto il 40,8% dei propri punti: solo l’11,1% arrivano dalla media distanza, dove è per percentuale la seconda peggior squadra di Eurolega col 31,5% di realizzazione: è da lì che Siena deve farlo tirare.

La chiave per la Montepaschi è la difesa sui pick&roll orchestrati da Spanoulis: probabile che decida di raddoppiarlo perché il suo tiro da fuori va rispettato, con l’obiettivo di non far uscire la palla se non in tempi e modi diversi da quelli voluti dall’Olympiacos, ma il greco è capace coi cambi di direzione di arrivare comunque fino in fondo, e può aggiungere la terza dimensione dell’arresto e tiro in allontanamento: per Siena sarebbe comunque l’ideale.

Oltre ad avere l’ingombro per portare via la difesa aprendo spazio alle entrate di Spanoulis, i tagli in area di Dorsey vanno rispettati con l’intervento in aiuto di un terzo uomo dal lato debole. Printezis, bravo anche a creare dal post basso, e Antic sono micidiali a punire queste situazioni o i raddoppi sugli isolamenti di Papadopoulos spalle a canestro: meglio mandare in aiuto Moss, o Thornton, piuttosto che Stonerook. Lettura della difesa e fisico compatto per poter fare giocate da piccolo, rendono Hines una bestia d’area nonostante i pochi centimetri, pericoloso in uno contro uno.

DIFESA OLYMPIACOS VS ATTACCO SIENA
Quarto attacco più produttivo dell’Eurolega con 79,5 punti di media dopo una Top 16 da leoni (82,2), la Montepaschi è quarta per punti per possesso e seconda al tiro da tre (39,9%). Dall’altra parte il 41,5% dei punti concessi dall’Olympiacos sono quelli in cui ti fa arrivare al ferro. Dipende dalla scarsa indole di alcune individualità e dalla scelta frequente dei greci di affidarsi ai cambi difensivi: scelta utile a far perdere fluidità agli avversari, ma che dall’altra allenta le responsabilità individuali nell’uno contro uno soprattutto quando attaccata in contesti dinamici.

Sta dunque alla Montepaschi far collassare in area la difesa dell’Olympiacos per poi riaprire per facile tiri piedi a terra che Andersen, Lavrinovic ma anche Ress, più di Stonerook, hanno nel loro arsenale. Atteso in area da Dorsey e Papadopoulos, McCalebb dovrà batterli coi cambi di direzione e sui primi due passi (la sua forza) perchè poi hanno leve lunghe per stopparlo se li ha ancora addosso una volta arrivati al ferro. Nei momenti in cui cerca maggiore consistenza difensiva, Ivkovic preferisce affidarsi ai quintetti con meno centimetri ma più intensità con Antic e Hines insieme.

In contesti meno dinamici, il punto di forza di Siena è poter mandare i propri esterni spalle a canestro: l’Olympiacos ha i giocatori per poter marcare uno ma non due esterni in post basso. Da qui la Montepaschi potrà punire coi già citati tiri da fuori dei lunghi o attaccare coi cambi di lato trovando la difesa sbilanciata. Paiono fatte apposta per lo scopo anche le uscite a ricciolo di Rakocevic dai blocchi e i giochi a due tra lui e Andersen o Zisis e Lavrinovic per mettere in mezzo un non difensore come Spanoulis. Ma molti punti per Siena dovranno arrivare in campo aperto: è il suo punto di forza, e la transizione difensiva non è certo un fiore all’occhiello dell’Olympiacos.

Ce n’è abbastanza per giocare non una serie di tre, quattro o cinque partite, ma un intero campionato. E alla fine, nel gioco di conoscenza reciproca e togliere i punti di forza all’avversario, potrebbero decidere solo poche di queste mille sfumature. E forse nessuna tra quelle citate…

Ibrahimovic e il Marchese del Grillo

Sarà che l’attaccante svedese del Milan (Pallone d’Oro solo per i giornali italiani, al momento, com’era già successo ai tempi dell’Inter) e il film diretto da Mario Monicelli (e interpretato da Alberto Sordi) sono entrambi datati 1981. Come chi sta scrivendo queste righe, del resto. Evidentemente tra noi c’è una qualche affinità elettiva.

Ho un’ammirazione particolare per Zlatan Ibrahimovic, perché è uno di quei calciatori che non puoi che adorare per il loro talento assoluto. Poi vince, perde, segna, non segna, importa il giusto (almeno a me).

Mi piace perché quando gioca come sa domina, senza se e senza ma. Poi tutte le storie relative alle sue mancanze in Champions League le lascio a chi ne vuole discutere, non sono così emotivamente coinvolto da farmene un dramma.

La parte affascinante di Ibra (19 gol in 21 presenze in questo campionato con il Milan, al momento) non è solo quella che mostra in campo. Dalle mie parti, in Sicilia, uno come lui verrebbe definito un “picciuttazzu”, nella misura in cui dà l’impressione di fare ciò che vuole, come vuole, e se non ti sta bene sai già dove devi andare (là dove non batte il sole) altrimenti ti ci manda.

Com’è successo oggi a Vera Spadini, di Sky Sport, al termine di Milan-Lecce.

Ecco, qui sotto, alcuni estratti di Ibra vs tutti gli altri.

vs. Massimiliano Nebuloni (Sky Sport)

vs. Arrigo Sacchi (Mediaset Premium)

vs. Vera Spadini (Sky Sport)

vs. Laura Lago (Tele 5)

Grazie Zlatan, alla prossima!

Pietro

Uno da serie TV, Jaja Pozzati (contiene consigli per gli acquisti)

L'apertura della Ferramenta

Nell’ambiente del basket lo conoscono in tanti, e tutti come “Jaja”. Lui è Jacopo Pozzati, @JPOZ32 se volete beccarlo su Twitter, e lo trovate a Bologna in negozio. Anzi, in Bottega, un’autentica istituzione per chi ama lo streetwear e – come tra poco Jaja ci spiegherà – non solo quello. La scorsa settimana lui e i suoi hanno dato una festa per l’inaugurazione di un altro negozio: la Ferramenta. E allora due chiacchiere per festeggiare questo evento le abbiamo fatte più che volentieri. Le foto sono di Matteo Marchi.

01. Perché funziona associare dei negozi di scarpe e streetwear a nomi come “Bottega” e “Ferramenta”?

“Innazitutto qua non parliamo d negozi di sneakers, ma di un negozio Back Door dedicato alla pallacanestro in un piano, con un altro piano interamente dedicato a quella che io chiamerei “Way Of Life”, né streetwear, né fashion, bensì quello che l’amore per questo lavoro ci porta a fare, ma se proprio dobbiamo usare un termine tecnico userei High fashion streetwear. In Ferramenta abbandoniamo il basket giocato per dare spazio all’abbigliamento da donna in tutte le sue forme, all’ottica di iper ricerca sia da sole che da vista (siamo in partnership con un colosso nel settore dell’ottica) alla tecnologia, con un corner interamente dedicato ad accessori per iPhone, Mac, ecc. Dopo questa piccola preview posso rispondere alla tua vera domanda: Bottega perché prima sorgeva appunto una vera e propria bottega di quartiere, una istituzione per Bologna, un vecchio negozio ultracentenario – la Ditta Evangelisti – dove si poteva trovare di tutto: dagli zerbini fatti su misura, alla raffia, al tessuto rosso per le famose ed ormai quasi estinte tende rosse bolognesi. Ferramenta perché esattamente 100 anni fa in quel luogo è nata la prima attività commerciale, appunto una ferramenta, dove prima (da quasi 700 anni e passa) sorgeva un antico convento ed il suo dormitorio”.

Passavano di lì

02. La sportiva che ha più stile, e perché.

“Per quel che poco che vedo, apprezzo la Pellegrini per il suo voler sentirsi donna e riscoprire la sua innata femminilità al di fuori della vasca. È una cosa che apprezzo molto perché la donna ogni tanto deve sentirsi donna al 100 %, anche se viene da un background rude come può essere la sua professione”.

03. Lo sportivo che ha più stile, e perché.

“Parlo di quelli che conosco io: Mattia Cassani [calciatore del Palermo, ndr] e Marco Materazzi [ex Perugia e Inter, ndr]. A modo loro vestono, parlano e si atteggiano in maniera diversa dagli stereotipi dello sportivo ricco e famoso, hanno un loro cervello vero, sono ipersmart e piacevoli. Mattia è un pò il mio fratellino minore in sede di gusto, malato di vestiti, sempre attento alle novità introvabili sul mercato, grande fan di mercatini (i famosi flea market) e mobili antichi, pronto ad ascoltare ed imparare cose nuove e prendere un aereo con me appena se ne ha la possibilità. Marco è diverso, anche se pure lui simile a me: deciso, testardo ed eccentrico, ha una classe tutta sua nel suo modo di vestire ed essere. Look molto più sportivo ma di ricerca, totalmente fuori dal comune, come è stata ed è la sua fantastica vita e carriera, che aggiungo si è meritatamente guadagnato con i sacrifici… mentre tra gli stranieri Sean Avery sicuramente, l’ex stella dell’hockey NHL definitivamente gettatosi nel modo del fashion business in Usa”.

Dalla Virtus Bologna, Giuseppe Poeta e Chris Douglas-Roberts

04. La colonna sonora ideale dei vostri negozi: titoli a piacere.

“Una meltin’ pot di titoli, te ne starei a elencare un migliaio viste le nostre molteplici sfaccettature. Scegli a tuo piacimento tra Marvin Gaye, Jackson 5, Stevie Wonder, The Black Keys, Wilco, Soulclap e DJ Uovo”.

05. Lo sportivo più forte che ha comprato qualcosa da voi.

“Troppo facile, Marco Materazzi”.

06. Lo sportivo più scarso che ha comprato qualcosa da voi.

“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, troppe conoscenze ho”.

07. Lo sportivo (o il personaggio) che se entrasse in negozio potresti svenire.

“Too easy anche qua… quello che ancora quando passa incute reverenza verso chiunque, ce l’ho pure tatuato sul braccio destro, l’uomo che ti umiliava già solo con il sorriso: Magic Johnson!”.

08. La tua Top 5 delle sneakers da passeggio.

“Nike Air Jordan 1 Og, Nike Air Jordan 11 Concor, Nike HTM Runboot 2, Nike HTM Runboot 2, Vans Era White on White, adidas Gazelle Vintage”.

Jaja & Girls

09. La tua Top 5 delle scarpe da basket, per giocare.

“Nike 2K4, Nike Zoom Kobe III, Nike Zoom, Kobe 5, Nike Air Total Package Lo, Nike Zoom, BB Low II”.

10. La cosa più cretina che ti è capitato di vendere spacciandola per una figata.

“Niente, non sono il tipo, sono troppo onesto come commerciante!”.

Pietro

Le mie idee sulla riforma dei campionati di basket (vi avverto, è lungo sto pezzo)

Leggo dalla Gazzetta dello Sport di oggi un articolo firmato da Mario Canfora a proposito della riforma dei campionati di basket, che inizia con “Ci siamo quasi”, nel senso che le decisioni definitive sono ormai vicine.

Il nodo cruciale, si dice, è il secondo campionato, quello che oggi si chiama Legadue ed è un campionato professionistico a 16 squadre, con una promozione in Serie A.

Se ho capito bene, succederà questo (almeno negli intendimenti):

1. Non ci sarà più un solo girone da 16 squadre, ma due. Perché? Per accorpare, sostanzialmente, quello che oggi è il terzo campionato (La Divisione Nazionale A), ridurre il numero delle squadre formando un terzo campionato da quattro gironi da 16 squadre.

2. Attenzione, però: stesso livello ma non stesso valore. Dal secondo campionato alla Serie A uscirebbe comunque una sola promossa da 32 formazioni. Ci sarebbe un girone Gold (più importante) e uno Silver (meno importante). Il primo esprimerebbe 6 squadre ai playoff, il secondo 2. Perché?

3. Ci sarà anche una fase di playout dopo la stagione regolare: due gironi da 6 squadre: dalla 11° alla 14° del girone Gold, dalla 3° alla 10° del Silver. Ne usciranno due squadre che parteciperanno, nella stagione successiva, al girone Gold. Ma perché? Le ultime due del girone Gold, invece, andranno direttamente inserite nel Silver, e le ultime due del Silver al terzo campionato.

4. Eleggibilità dei giocatori: 7 italiani “di formazione”, un oriundo italiano, un giocatore di passaporto comunitario, uno extracomunitario. Ci sarebbe anche la norma che prevede l’utilizzo di 4 giocatori Under 22 “non obbligatori” nella misura in cui si può fare a meno di schierarli, pagando una tassa di 10.000 euro per ogni Under 22 utilizzato in meno rispetto alla norma. Quindi si possono avere solo giocatori over 22 pagando una tassa di 40.000 euro, che finirebbe in un fondo destinato a premiare, invece, le 5 società più virtuose nell’utilizzo dei giovani (parametri, però, da definire presumo in base all’impiego dei suddetti).

5. Dal terzo al secondo campionato, cioè da un totale di 64 squadre, usciranno solo due promosse per il girone Silver.

6. Questo campionato non sarà più regolato dal professionismo, ma avrà uno statuto dilettantistico.

Ecco le mie considerazioni, punto per punto.

1. Il campionato di Serie A, ormai da anni, è entrato in un circolo vizioso e quindi perdente: ci si è arrivati troppo facilmente, nel senso che troppi club che non avrebbero potuto sostenerlo economicamente e strutturalmente ci hanno messo i piedi e ci sono rimasti per anni. Il risultato? Abbassare il livello dei costi, certo, ma soprattutto della competitività, della capacità manageriale e organizzativa, anche decisionale. Negli anni si è puntato sempre più a sopravvivere e sempre meno al vertice, con la conseguenza che la Serie A ha “accolto” club che si sono rivelati pericolosi e pericolanti, ed elencare tutte le società fallite, scomparse, distrutte negli ultimi anni sarebbe un esercizio ormai troppo lungo. Non credo, per questo, che sia giusto allargare a 32 formazioni la possibilità teorica di accedere alla Serie A: si rischia di produrre uno scannatoio tra società guidate da capitani di ventura o presidentissimi dell’ultim’ora che per interessi particolari possano fare passi troppo lunghi rispetto alle proprie gambe. Magari arrivando in A, ma di fatto azzoppandola (azzoppando gli stessi club).

2. Ordine, ci vuole: il basket oggi soffre di una crisi di riconoscibilità, per molte persone facenti parte del “grande pubblico”, cioè quella massa che si cerca disperatamente di coinvolgere, è già complicato capire le regole di uno sport che non preveda i calci alla palla. Il minimo che il basket dovrebbe fare è avere campionati semplici da comprendere. Io, francamente, non capisco il senso di avere due campionati “quasi” allo stesso livello. Perché, messi così, il girone Gold e il girone Silver avrebbero valori competitivi estremamente differenti. Non capisco quindi il senso di dare la possibilità alla seconda classificata del Silver di fare i playoff a dispetto della settima classificata (magari per differenza canestri) del Gold. Perché non stabilire un semplicissimo ordine valoriale tra i campionati? Si può abbattere il numero delle squadre senza impastarli. Una A a 16 squadre è più che sufficiente, come una “B” a 16. Anzi, sono già troppe. Io porterei il numero totale delle squadre appartenenti ai primi due campionati a 28. Ricordo solo io che sono state ammesse ben quattro squadre (Verona, Ostuni, Piacenza e S. Antimo) all’attuale campionato di Legadue tramite ripescaggio?

3. Come sopra. Per attirare gente bisogna mettere ordine invece di incasinare le cose. A me questo sembra un campionato incasinato, e parecchio. Non ho mai capito il senso i campionati dei primi anni ’90 che mischiavano formazioni di A1 e A2 nei playoff scudetto. Quindi non lo capisco nemmeno di questi.

4. L’eleggibilità dei giocatori mi pare un tema ormai stucchevole. Tra professionisti, sinceramente, credo nella libertà: che i club siano messi in condizione di scegliere i giocatori migliori e/o più adatti in un libero mercato tra professionisti, che giochino i migliori e stop. I giovani vanno tutelati in altre sedi, e vanno tutelati anche con una diversa mentalità (cioè non minacciare gli allenatori alla seconda sconfitta di fila ma dando loro il tempo di lavorare, e quindi anche di sviluppare un giocatore). I paletti, lo abbiamo visto nel corso degli ultimi anni, servono solo a far lievitare i costi dei giocatori italiani e degli Under. E non credo sia smentibile (numeri alla mano) il fatto che moltissimi giocatori italiani abbiano un rendimento insufficiente per pensare di creare dei campionati strapieni di giocatori nostrani. Non ce ne sono abbastanza, altrimenti la Nazionale non avrebbe dovuto ricorrere a un playmaker oriundo per gli ultimi Europei, quindi ritengo che aumentare per decreto la presenza dei giocatori italiani ad alto livello sia folle e fuori dal tempo. La gente (intesa nuovamente come “grande pubblico”) ha bisogno dil vedere atleti che fanno canestro e spettacolo. Gli “X’ and O’” del gioco interessano a una fetta decisamente minoritaria, che per allargarsi deve almeno avere il tempo di apprezzare il lato più leggero di questo sport. L’idea degli incentivi per chi fa giocare più giovani, invece, mi piace. Ma…

4.1 Io proporrei una quota fissa da pagare per le formazioni di A e Legadue per finanziare dei campionati Under 19 gestiti dalle Leghe. Mia idea: i settori giovanili di queste società portano i loro Under 19 con loro, seguendo gli stessi calendari. I giovani delle squadre di A tra di loro, i giovani di Legadue tra di loro. Perché? Perché bisogna indurre i giovani più bravi a giocare per gli allenatori più bravi e le società che hanno migliori strutture. E uscirebbero dai campionati nazionali così come organizzati adesso? Sì, per quanto mi riguarda sì. Tanto cosa cambia? Chi lo sa, oggi, chi ha vinto l’ultimo campionato Under 19? A chi interessa? Non è meglio far giocare, per esempio, Siena-Milano o Bologna-Montegranaro al PalaEstra e alla Unipol Arena davanti a un po’ di gente con palla a due alle 18 se si gioca alle 20.30? Con lo stesso biglietto uno spettatore vedrebbe due partite, conoscerebbe i giovani migliori del proprio club e magari si avvicinerebbe al “main event” in un clima più rilassato e sportivo. Già vi sento: e se uno retrocede e ha tra gli Under 19 un fenomeno, che fa? Se lo può tenere, e magari – pensate – potrebbe giocare in Legadue, se è bravo, no? Oppure si cede a una squadra più forte, con un’adeguata compensazione. Così assurdo? Altra domanda: e dopo gli Under 19? Ragazzi, se uno a 19 anni sa giocare a pallacanestro si capisce. A 20 anni le tutele sono superflue. Che giochi nei campionati minori. O che faccia altro, se non ce la fa. Perché tutelare un giocatore non bravo a dispetto del suo valore? Due campionati di “A Under 19” e “Legadue Under 19” potrebbero invece essere, oltre che competitivamente interessanti, anche un serbatoio di talenti più fruibile e riconoscibile per gli stessi club e per il pubblico, secondo me. (come idea, una cosa così http://www.lnbespoirs.fr/)

5. Vale come sopra: 2 promozioni per 64 squadre, per me, sono folli. Questi campionati perderebbero di senso per troppe squadre, perché dunque i tifosi e gli investitori se ne dovrebbero interessare?

6. Dicesi dilettante: “Chi pratica un’attività, si dedica a uno studio non per professione ma per amore della cosa in sé o per passatempo”. Non mi sembra il caso di quasi nessuno dei giocatori e allenatori coinvolti attualmente nei campionati dilettantistici, per lo meno in DNA (3° campionato) e DNB (4°). Ho paura che “dilettantismo” sia un concetto abusato per consentire di abbassare i costi per ingaggiare professionisti de facto, in cambio – tra l’altro – di tutele clamorosamente inferiori per far rispettare gli accordi. Il che non è esclusiva responsabilità dei giocatori, ma ovviamente sono i club a guadagnarci, pagando meno tasse. Il punto è: regolarizzare di più, semmai spendere meno ma in maniera più sana, e chiamare le cose col proprio nome. Se una persona per lavorare e far mangiare i propri figli si dedica esclusivamente all’attività sportiva retribuita, questa persona non è da considerarsi dilettante, e bisogna regolare tutto nella maniera più adeguata (ed equa) possibile.

Pietro