Troppe squadre? Verso un “nuovo” sport

Dalle parole di Andrea Agnelli all’assemblea generale dell’#ECA, riportate da Tuttosport (link: http://bit.ly/3qsj6in), qualche spunto di riflessione sul mondo sportivo.

Parole molto interessanti del presidente dell’ECA Andrea Agnelli, che sostiene ragionamenti già svolti da altri sport (basket soprattutto) a livello continentale, ma che dovrebbero indurre lo sport professionistico a una riflessione complessiva.

Punti salienti:

  • Troppe squadre che diluiscono competitività e risorse
  • Una analisi (o un tentativo di) dei tifosi di sport odierni, a partire da ciò che vogliono vedere e da come lo guardano
  • Il leitmotiv della sostenibilità economica: se non si guarda anche al profitto, lo sport professionistico non può continuare a esistere a lungo (prima nel piccolo, poi nel più grande dei sistemi)

Aggiungo io:

  • Affidare il modello di sport alla nostalgia (dalla costruzione degli stadi, alla comunicazione, alla capacità delle leghe di essere tali e ragionare d’insieme, all’annosa questione televisiva… ce ne sarebbe da discutere per mesi) è sbagliato come riguardo qualsiasi argomento. Ogni storia va rispettata ma la storia è dinamica, ce lo insegnano i libri di testo.
  • Il riferimento alle troppe squadre, all’interesse che viene meno su troppe partite prive di reale valore competitivo deve interessare anche le competizioni nazionali (che nell’intendimento di Agnelli sono superate): la Serie A a 20 squadre non è verosimile, come la Serie B. Più squadre ci sono, meno risorse si dividono e più la qualità media cala, inevitabilmente.
  • Andrea Agnelli sui tifosi: “Dobbiamo anzitutto mettere i tifosi al centro: il sistema attuale non è fatto per i tifosi moderni. Le ricerche dicono che almeno un terzo di loro seguono almeno due squadre; il 10 per cento segue i giocatori, non i club. Molto probabilmente ci sono troppe partite che non sono competitive, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Non possiamo dare per scontati i tifosi, o rischiamo di perderli“. Agnelli si riferisce a una nuova tipologia di tifosi: meno ultras (per semplificare), più appassionati in senso lato. Persone meno disponibili a seguire un intero campionato o un’intera partita, molto più disponibili a guardare per ore una playlist su un giocatore o di giocate spettacolari, oltre che disponibili a pagare per ciò che desiderano vedere (e basta).

Nel mio piccolo:

  • Lavoro nel basket o attorno al basket da molti anni: è arrivato davvero il momento di stringere, di selezionare all’ingresso i club che ambiscono a far parte del professionismo, di regolamentare meglio l’attività dilettantistica e di ridurre il numero di squadre che vogliono farne parte. Perché ridurre non significa vietare, significa ottimizzare le risorse economiche e umane (dirigenti, allenatori, giocatori, arbitri, impianti) e fare lo sport di livello professionistico laddove si è attrezzati in modo professionale.
  • Coloro che invece non possono/vogliono fare questo, si dedichino con maggiore attenzione all’aspetto formativo di ciascuna categoria, per garantire palestre/campi, allenatori/istruttori, dirigenti più qualificati a gestire lo sport di base.
  • Sullo sport di base: affrontare in modo deciso il problema dell’educazione fisica scolastica. Ora più che mai non è pensabile essere obbligati a pagare per l’avviamento allo sport e la scoperta delle varie discipline. Come si scopre di essere più portati per la fisica anziché per la filosofia, la scuola deve aiutare i bambini/ragazzi a scoprire se possono essere più abili nel calcio o nella corsa.

Nessuna ricetta segreta, solo una base di idee su cui ragionare per chi vorrà.

Pietro

Perché vedevamo poco (contiene sport, radio, internet e occhi chiusi)

“Good”.

Una parola sola, una parola semplice.

Raccontava il tiro da tre punti di Robert Horry che sanciva la vittoria per 100-99 per i Los Angeles Lakers nella finale della Western Conference contro i Sacramento Kings.

Una rimonta da -24 coronata da quel tiro, per nulla costruito e del tutto fortuito nello sviluppo di una azione che aveva precedentemente visto sbagliare quelli che in quel momento erano il numero 1 e il numero 2 del Gioco (in quale ordine scegliete voi), ovvero Kobe Bryant in avvicinamento e Shaquille O’Neal dopo il rimbalzo d’attacco.

La smanacciata di un grande ex Lakers come Vlade Divac spedisce la palla proprio in direzione di. Horry e… “Good”. Senza questo episodio, probabilmente, non avremmo vissuto il “three-peat” gialloviola e magari avremmo visto vincere un titolo a una delle più entusiasmanti squadre dei primi anni di questo millennio, i Kings allenati da Rick Adelman con gente come Mike Bibby, Doug Christie, Predrag Stojakovic, Chris Webber e, appunto, Divac. Non lo sapremo mai.

Torniamo però al punto di prima, quel “Good”.

Non lo troverete in nessuna telecronaca perché a pronunciarla non fu un tele bensì un radiocronista. Già, e noi come lo sappiamo?

Lo sappiamo perché quella sera ero a Milano, per la precisione in via Deruta, insieme a Gianmaria Vacirca, Massimo Pisa e altri inquilini più o meno fissi del grande open space che ospitava varie redazioni e personaggi che poi, a vario titolo, avrebbero avuto un ruolo nel mondo dell’informazione sportiva.

Quella sera, prima di ogni “League Pass”, molto prima che arrivassero la fibra ottica e il 5G, internet offriva comunque dei modi ragionevoli per seguire quasi tutti gli eventi sportivi. Il play-by-play, che oggi appare del tutto obsoleto, era qualcosa di rivoluzionario. Allora, sempre in quegli uffici milanesi, si era stati in grado di produrre le dirette in streaming del campionato di Serie A di basket, irradiate “worldwide” e gratuitamente grazie ai diritti acquisiti da MP Web. Eravamo, però, in un momento in cui ancora troppa gente viaggiava a 56k e dunque non era in grado di fruire di quel prodotto.

Non c’erano i social network (allora si aggiornava il proprio nome di MSN Messenger o ICQ anziché lo stato di Facebook), e perfino la NBA doveva ancora esplorare la propria capacità di produrre contenuti multimediali e trasmetterli online.

Esistevano già le pay-tv e le dirette, certo, ma naturalmente c’era sempre qualche altra partita che si voleva vedere più di quella “in catalogo”.

NBA.com, però, offriva a chi soffriva (in senso clinico, probabilmente) una soluzione per alleviare la mancanza di immagini in diretta, se proprio non si poteva fare a meno di aspettare gli highlights e se la partita non era prevista dall’offerta televisiva (come era il caso di quel Lakers-Kings).

Sul sito ufficiale della Lega, infatti, era possibile accedere alle radiocronache di tutte le partite. Straordinario. Immergersi in quel mondo non già attraverso le immagini ma grazie alle voci, ai suoni, al rumore.

No, non era la stessa cosa e no, non è un momento di nostalgia. Anzi, si trattava solo di un palliativo per la fame che avevamo di vedere quella partita, un problema che oggi per fortuna non sussiste.

Quelle radiocronache le ho usate anche per lavoro, perché – pensai – se nessuno può vedere le partite, quanti ce ne saranno che passano la notte ad ascoltarle per poi scriverci sopra? Non so se la risposta fosse superiore a uno, una parte di me se lo augura e un’altra parte spera di no, perché dopo tutto a ognuno di noi fa piacere pensare di essere stati gli unici almeno in qualcosa.

A quelle notti ho ripensato questa mattina, mentre le raccontavo a un ragazzo che per un puro fatto anagrafico non può aver conosciuto l’era dei pionieri di internet e di certo non poteva sapere come si stesse nei primi anni ’90, la domenica sera, mentre si aspettavano con ansia i risultati e il commento alla giornata del campionato di Serie B2 di basket dalla voce del “signor Lazzaro”, storico commentatore per Radio Vela ad Agrigento (e a preallertare gli ascoltatori sull’inizio del programma veniva proposto sempre lo stesso pezzo: “Let’s Groove” degli Earth Wind & Fire) sapendo che non c’era altro modo di avere quelle notizie in modo più veloce.

Non era un modo né più giusto, né più umano, né più romantico: era semplicemente il modo più avanzato – per i tempi di allora – di avere le informazioni nel più breve tempo possibile.

Suona irreale in un’epoca in cui puoi guardare una partita Under 14 sul proprio cellulare (chiedo scusa, smartphone).

Sta di fatto che avendo avuto come abitudine la radio (e ancora grazie al Signor Lazzaro) per seguire la squadra per la quale si faceva il tifo, pareva naturale affidarsi a quel mezzo anche per seguire eventi di ben altro livello, oltre che essere una sfida personale (non quella con l’insonnia, persa da sempre, bensì quella con la comprensione dell’inglese).

Oggi la radio esiste ancora, mentre la qualità (nonché la quantità) dello streaming ha raggiunto livelli di assoluta eccellenza.

I nostalgici diranno che forse era meglio prima, quando le cose le immaginavi prima di vederle (o a volte le immaginavi e basta), e tutto ciò avrebbe stimolato fantasia, creatività, originalità di pensiero.

Oggi abbiamo le immagini, sempre, tutte, per cui siamo messi di fronte ai fatti non opinabili: dunque, meno immaginazione.

Oppure, forse, la straordinaria opportunità di utilizzare il fatto per argomentare, alimentare la dialettica, il confronto su basi oggettive, tenersi il sentimento per quello che vale e per quello che è, vale a dire una fondamentale componente umana che in nessun caso deve assumere valore “scientifico”.

Troppo complicato? Forse, ma sto dormendo poco e questa frase è uscita un pò così. Vorrà dire qualcosa, o forse no.

Magari provate a leggerla, anzi, a chiudere gli occhi e farvela leggere. Se siete sufficientemente romantici vi sembrerà di ascoltare una radio e questo pensiero apparirà perfino magico.

Se invece appartenete a quelli che si avvicinano al cinismo come stile di vita, probabilmente finirete a prendervi in giro da soli prima che lo faccia la persona che avete costretto a leggervi questa roba mentre osservava i vostri occhi chiusi e l’espressione contrita alla ricerca di un qualche significato mistico.

Pietro

Waiting 4 London: My 1st Euroleague TV season review

My feelings (and “awards”) about my work on Euroleague Basketball Magazine (you can find it on Youtube, also check Euroleague.tv).

Things I’ve seen, people I’ve met, thoughts I’ve had.

Enjoy!

Best game attended: Olympiacos Piraeus-Anadolu Efes Istanbul (Playoffs, Game-5)

Not only because of the atmosphere at Peace and Friendship Stadium. Not only because the game was the most important of the season for both teams. It was, in fact, a great basketball game. Anadolu Efes put up a great showing for 25 minutes, then Olympiacos came back strong to finally win it. It was a shame to see Jordan Farmar sitting on the bench because of an injury, missing the last quarter. The game missed some fashion and great quality without him (and, of course, the Turkish side missed his talent).

Honorable Mention: BC Khimki-Olympiacos Piraeus

Khimki has been one of my favorite teams throughout the season. I watched a lot of their games during 2011-12 Eurocup victorious campaign as a commentator with Eurosport Italy, and I was curious to see them in Euroleague. I was not disappointed with the quality of their game, which was brilliant in terms of team identity, chemistry, execution and ability to read the game. They brought all those things to the table when the defending champions Olympiacos visited them in Top 16. And the Greek team answered with a marvelous second half, using their pick and roll play with intelligence and adapting their defense to stop bleeding in the paint, overcoming a 13 points game to force Khimki to their first home defeat in three years in the European cups. Just marvelous.

Best trip: Moscow, Russia

It was my first time in Russia. And it was a great way to celebrate that watching two top level Euroleague games (CSKA-Panathinaikos & Khimki-Olympiacos). I didn’t had time for sightseeing, just a little walk in the Red Square and a couple of coffees. However, it was great to sit down with 16 great players (4 for each team) and get a inside look on their team’s life (especially those that were traveling), spending almost a week there.

Best Interview: Vassilis Spanoulis (Olympiacos Piraeus)

When I sat down with him (we were in Russia at Olympiacos’ hotel, during a Top 16 trip) I felt that Vassilis really understands who he is. A big time player and an important personality for his club and the sports we all love in his country. He was concrete, lucid and pleasant to listen. In fact, I had the same feeling when I spoke with him a few minutes after the regular season victory in Milan (where the home fans rewarded him with a standing ovation) and also in other post game interviews (after the game in Khimki and after Game-5 against Anadolu Efes). He knows that talking to the media is a part of his work and he does it with style. It’s a true pleasure, as a journalist.

Best post game interview: Heiko Schaffartzik (Alba Berlin) after the game vs. Brose Baskets Bamberg

Quote: “We never got down in any way and when we received a punch we gave them two back in their face. And that is what made the difference today”.

My All-Interview 1st Team

Vassilis Spanoulis (Olympiacos Piraeus)

Quote about his work behind-the-scene to get ready for each game: “It is mental preparation, self-criticism, watching lots of videos of yourself because when you watch videos you face the truth, because if you don’t see it you could say that a moment in a game was not your mistake but someone else’s mistake. But when you see the video you see what is real. Of course you need character to pass difficult situations because in the end who is more mentally strong will take the titles”.

Roko Ukic (Panathinaikos Athens)

Quote about playing with Panathinaikos: “It is better to be the host than the guest in that gym [OAKA] and the fans give us support and they support us even when we lose. All that feeling is great even when you see all the flags up on the roof and you feel you are part of something important and that really makes you feel special”.

Kelvin Rivers (BC Khimki Moscow Region)

Quote about his role with Khimki: “To be honest with you I have completely no idea what my role is. I just fit in where I can you know. Whatever is needed whether it is to go and play defense or at times just try to take over when it is needed. I do what I know I can do and I do not do anything I am capable of doing”.

Andy Panko (Unicaja Malaga)

Quote about his Panathinaikos’ stint: “I always wanted to play in Spain, even in the summer, I told my agent that my priority was to play in Spain but when Panathinaikos came, I mean I got to be stupid to pass that up so it was a great opportunity for me to play for one of the best teams in the history of basketball”.

Ioannis Bourousis (EA7 Emporio Armani Milan)

Quote about his life in Italy: “Of course I like my Greek philosophy but Italian life is a lot easier. It is more relaxed. You know Italy. ‘Vai tranquillo!’ [in Italian], you know Italia!”

Coach: Rimas Kurtinaitis (BC Khimki Moscow Region)

Quote about the clutch-time decisions: “I don’t want to tell that those decisions are right, but they’re happy. I don’t know how to explain that, it’s just a feeling coming from inside. I do a lot of things just by feeling, as a former player. if you ask me why I made a substitution or why I call a play, sometimes I have no answer. I just feel we must do what I feel”.

My All-Interview 2nd Team

Marko Popovic (Zalgiris Kaunas)

Quote about his father playing basketball: “I remember him [his father] playing very well because my mum took me to my first game when I was three months old and since I walked into the gym at that time I have never left it. Basketball is basically in my blood”.

Earl Calloway (Unicaja Malaga)

Quote about his life in Malaga: “It’s very relaxing. Everything shuts down from two to five and they just go and enjoy life so that is pretty interesting. There is no stopping in America. A thirty-minute break and you are good to go”.

Rimantas Kaukenas (Zalgiris Kaunas)

Quote about a funny anecdote when he played in Israel: “A few times when I played in Israel there were some funny things because some people thought I was Dolph Lundgren! If I walked outside in the mall in Tel Aviv, people sometimes came to me asking ‘Are you Dolph Lundgren?’ [smiles]”.

CJ Wallace (FC Barcelona Regal)

Quote about a funny moment during a waiting in the airport when he was playing in Capo d’Orlando, Italy: “We had to keep ourselves entertained, we were a small team in Italy, you know we couldn’t buy fancy iPads and stuff like that so we played hide and seek and it wasn’t a very big airport so there weren’t a lot of places to hide and there was a store kind of near the base…and while the guy was counting I went in there and put on a helmet and had a bag and just kind of stood in the window for a little while. The lady that was working in the store was very nice, she let me get away with it but no-one found me for like 15 or 20 minutes and I won!”.

Kresimir Loncar (BC Khimki) 

Quote about playing in Russia: “I have been here for a long time and I can speak Russian but it is not easy for a European player to come to Russia. I think that the players who come here in the first year can see that this is an unbelievable city. It is cold but it is cold in other European cities as well. If you want nice weather then you go for the summer to Ibiza”.

Pietro

Preview #MayweatherCotto: l’opinione di Vittorio Parisi

Meno un giorno al match tra Floyd Mayweather (42-0, 26 k.o.) e Miguel Cotto (37-2, 30 k.o.),  che a quanto pare non sarà trasmesso da nessuno in Italia (Grazie,  eh), non rimane che cercarsi uno streaming. Detto questo, per presentare al meglio uno dei più grandi eventi pugilistici dell’anno mi sono avvalso dell’esperienza di Vittorio Parisi, che è stato mio compagno di telecronaca a Eurosport e ha una conoscenza straordinaria del pugilato – oltre a essere Direttore d’Orchestra, lavorando in Italia e all’estero, e insegna Direzione d’Orchestra al Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano.

La copertina di "Gong!"Vittorio scrive su Boxeringweb e ha fatto parte del “Championship Panel” di “The Ring Magazine” (la più importante rivista di boxe al mondo, da sempre), unico italiano. Vi consiglio, tra le altre cose, il suo libro “GONG! – Una storia dei pesi medi e dei pesi massimi” (Bradipolibri, 2010 – 18 euro). Prima della piccola intervista, è giusto fare la mia brutta figura con il mio pronostico: vorrei tanto vincesse Cotto, possibilmente con uno spettacolare knock-out, tanto per battere la noia. Ma credo che vincerà “Pretty Boy” in 8-9 riprese.

Dunque, Floyd Mayweather affronta Miguel Cotto e poi va in carcere, dal 1° giugno: come si affronta un avversario del genere sapendo questo?

“Credo che Mayweather sia concentrato sul match che farà, il pensiero dei pochi mesi di carcere, che non sarà nemmeno duro, sarà sicuramente ammorbidito dal pensiero dei soldi che comunque incasserà”.

Tra i due, almeno da quanto hanno lasciato trasparire, c’è molto rispetto. Sembrano due personalità compatibili, Cotto bada più alla sostanza, Floyd fa il Floyd: cioé fa vendere il match anche con il suo modo di essere.

“È Mayweather ad avere scelto di combattere con Cotto, e in questo periodo non ha molto interesse a comportarsi male in pubblico”.

Cotto, dice Mayweather, va considerato imbattuto perché Margarito lo ha sconfitto imbrogliando e Pacquiao ha voluto un peso concordato. Ha ragione o vuole solo rendere il match più appetibile?

Vuole rendere appetibile un match che si doveva fare 5-6 anni fa, non adesso. È però vero che Margarito ha probabilmente barato anche nel match contro Cotto, ma la lezione subita da Cotto contro Pacquiao non dipendeva certo dal peso. E poi nessuno ha obbligato il portoricano a firmare per quel peso”.

Il portoricano è un picchiatore, ha un gran pugno, ama portare l’avversario alle corde e bombardarlo. Ha una chance di riuscirci contro il miglior “schivatore” al mondo?

“Cotto è più un demolitore che un picchiatore e certo non può pensare, viste le sue caratteristiche e quelle del suo avversario, di vincere combattendo sulla media e lunga distanza. Però Mayweather è uno dei pugili che nella storia si trova meglio spalle alle corde e questo rende maledettamente difficili le cose per il portoricano”.

Banalmente: chi vince, e perché?

“A mio avviso Cotto ha possibilità se nei primi round riesce a rendere questo match un vero inferno ma per farlo dovrà comunque pagare un prezzo molto alto. Se entrambi sono al meglio della loro attuale condizione Cotto non ha più del 20% di possibilità di vincere. Quindi direi Mayweather anche se preferirei il rovescio. Lo statunitense non mi è simpatico, ma i match non si vincono con la simpatia”.

Pietro