Cose che rischiate di dire o sentire parlando di sport

Nessuno è esente da responsabilità. Nemmeno io. A tutti capita di essere ignoranti in qualche materia o semplicemente supponenti. Mi sono venuti in mente alcuni concetti (o frasi, o abitudini) che ancora resistono e che ho ritrovato anche molto recentemente parlando dei tre sport che seguo abitualmente per lavoro, ed ecco le mie piccole Top 10. In grassetto le mie preferenze. Chiedo scusa per tutte le volte che ho peccato.

CALCIO

Il problema della coppa.
Gli episodi.
L’essere cinici.
Il carattere.
La parola Scudetto (Che, notoriamente, non si pronuncia).
La piazza.
Gli pseudonimi del catenaccio.
La tecnologia snatura il gioco.
L’inaspettata rapidità delle persone intelligenti nel ragionare per stereotipi.
I giovani si bruciano.

BASKET

“Di là”, “Al piano di sopra” (Cioé nella NBA).
“Non capisco quando è passi, è troppo complicato” (Te lo spiego, non serve la laurea).
“La NBA è un circo”.
“In Europa non sanno giocare, non schiacciano come gli americani”.
“Gli americani non sanno giocare, schiacciano e basta”.
Il parlare del basket che fu descrivendo ogni squadra come un’orchestra.
Il parlare del basket che fu descrivendo ogni giocatore come un artista.
Il parlare del basket che fu descrivendo ogni allenatore come un maestro.
Tradurre le partite in equazioni che si vogliono infallibili. Chiaramente dopo.
Anche qui, i giovani si bruciano.

BOXE

“Il nuovo Tyson”.
“Il Tyson bianco”.
Tyson, come idea generale.
“Ma ve lo rompono ancora il setto nasale?”.
“Si rischia a corteggiare le donne pugili! Ah Ah Ah”.
“Non è più la boxe di Foreman e Alì” (E te credo).
I Klitschko (qui Wladimir e qui Vitali) sono scarsi.
La boxe non interessa più a nessuno (Non è vero/1 -Non è vero /2).
“Ah, si, il filippino” (Manny Pacquiao).
“Sì, però i welter mica sono i massimi” (Eh, no. Rassegnatevi).

Pietro

NBA Preview: come siamo andati finora?

La copertina di Rivista Ufficiale NBA #62

Sul numero 62 di Rivista Ufficiale NBA (gennaio 2012) abbiamo pubblicato una serie di articoli per provare a immaginarci la stagione che andava ad iniziare, accorciata a causa del lockout.

Visto che si riprende a giocare dopo l’All-Star Game, ideale giro di boa del campionato, ho voluto verificare le classifiche a metà dell’opera per vedere come stiamo andando con le nostre previsioni.

(Ri)Ecco, dunque, le classifiche immaginate da Rivista Ufficiale NBA , e tra parentesi i risultati ottenuti finora dalle squadre fino al 22 febbraio, ultima data prima del break per il weekend delle stelle (se volete, qui c’è tutto quello che occorre sapere a proposito dell’All Star Game 2012):

Eastern Conference, Atlantic Division (0/5)

1. New York Knicks (17-18, 2°)
2. Boston Celtics (15-17, 3°)
3. Philadelphia 76ers (20-14, 1°)
4. New Jersey Nets (10-25, 5°)
5. Toronto Raptors (10-23, 4°)

Eastern Conference, Central Division (3/5)

1. Chicago Bulls (27-8, 1°)
2. Indiana Pacers (22-13, 2°)
3. Milwaukee Bucks (13-20, 4°)
4. Cleveland Cavaliers (13-18, 3°)
5. Detroit Pistons (11-24, 5°)

Eastern Conference, Southeast Division (3/5)

1. Miami Heat (27-7, 1°)
2. Atlanta Hawks (20-14, 3°)
3. Orlando Magic (22-13, 2°)
4. Washington Wizards (7-26, 4°)
5. Charlotte Bobcats (4-28, 5°)

Apertura
La pagina di apertura del Season Preview

Western Conference, Northwest Division (2/5)

1. Oklahoma City (27-7, 1°)
2. Portland Trail Blazers (18-16, 2°)
3. Utah Jazz (15-17, 5°)
4. Denver Nuggets (18-17, 3°)
5. Minnesota Timberwolves (17-17, 4°)

Western Conference, Pacific Division (3/5)

1. Los Angeles Lakers (20-14, 2°)
2. Los Angeles Clippers (20-11, 1°)
3. Golden State Warriors (13-17, 3°)
4. Phoenix Suns (14-20, 4°)
5. Sacramento Kings (11-22, 5°)

Western Conference, Southwest Division (0/5)

1. Dallas Mavericks (21-13, 2°)
2. San Antonio Spurs (24-10, 1°)
3. Memphis Grizzlies (19-15, 4°)
4. New Orleans Hornets (8-25, 5°)
5. Houston Rockets (20-14, 3°)

Il totale fa 11 su 30, ma confidiamo di migliorare da qui a fine stagione. Del resto siamo la Rivista Ufficiale NBA, o no?

Pietro

C’era Milan-Juve, chissenefrega di loro. Giusto? Giusto un…

Per evitare equivoci, io capisco, ci mancherebbe. Capisco che il calcio sia lo sport più popolare d’Italia e del mondo, capisco che ci sono milioni di tifosi ovunque ansiosi di sapere come va a finire la sfida tra le prime due squadre del campionato italiano, lo capisco perché interessava anche a noi alla Porsche Arena di Stoccarda.

TUTTI I RISULTATI DI STOCCARDA

Quello che non accetto, però, è il fatto di considerare che siccome c’è quella partita di calcio tutto il resto non esiste. E non esiste perché “non ci interessa”. Una cosa che mi sono sentito dire da diversi colleghi con riferimento alla riunione di boxe che sono andato a vedere: dunque “non ci interessa” il mondiale dei pesi massimi (certo, nella versione Wba e senza i Klitschko, ma parliamo comunque di top della categoria), non interessa che ci siano due pugili italiani nel sottoclou. Un pensiero sul mondiale: per quattro persone diverse che fanno quattro lavori diversi aveva vinto Marco Huck, i cartellini di tre e quattro punti a vantaggio di Povetkin sono fantasie senza senso.

Allora parliamo di due ragazzi che accettano sfide difficilissime, a volte al di sopra delle loro possibilità, perché cercano di avere (e giocarsi) almeno un´opportunità, oltre che fare qualche soldo. Roberto Cocco (seguito a Stoccarda da Maurizio Tasso), per esempio, lavora alla Fiat e fa il combattente: dico combattente e non pugile perché pratica anche Thay e Kickboxe, ed è pure parecchio bravo (ha combattuto due settimane fa (contro Arthur Kyshenko). Se avesse avuto, come i tedeschi, un promoter in grado di proteggere il suo percorso di carriera con avversari alla portata, e la capacità di aumentare il numero delle vittorie, oggi sarebbe in una buona posizione di classifica e non dovrebbe semplicemente fare da test per un pugile come Robert Woge, ex campione tedesco dei dilettanti, che non è nulla di speciale. Woge ha vinto, Cocco non ha fatto uno dei suoi migliori match, pace. Nello sport si vince e si perde.

Salvatore Annunziata, invece, lavora al mercato con suo padre tutti i giorni, e si allena almeno due ore in palestra con Biagio Zurlo a Torre Annunziata. Ha perso pure lui, contro Jack Culcay (ex campione mondiale dei dilettanti), in un match in cui con un po’ di lucidità in più avrebbe potuto fare meglio. Ha preso un diretto destro al settimo round che lo ha mandato al tappeto, poco dopo l´arbitro ha fermato tutto. Pure lui è venuto qui, sapendo molto poco del suo avversario (perché come immaginerete durante il mercato c’è poco tempo per fare scouting), e lo ha fatto perché sta cercando “una soddisfazione. Mi dicono: ma che ci vai a fare? A perdere? E perdo, ma almeno vengo qui a giocarmela con avversari di buon livello, davanti a migliaia di persone, con l´incontro trasmesso alla tv tedesca. Magari fa piacere ai tanti napoletani che vivono in Germania vedere uno delle nostre parti in televisione, no?”.

Una soddisfazione, magari, potrebbe essere un’altra chance per il titolo italiano. Oppure qualche altra opportunità di venire a prendere una buona borsa in Germania a fronte di quelle miserie che si offrono dalle nostre parti.

A quelli che si offendono e bollano chi critica lo sport italiano come “esterofili” consigliamo di venire a vedere una volta tanto come funzionano le cose, dove funzionano. Perché tra il servizio “navetta” in Porsche e il fare tutto da soli ci deve pur essere una via di mezzo. Perché è totalmente ingiusto ricordarsi che in Italia si fa pugilato (o scherma, o atletica) solo quando ci sono le Olimpiadi. E perché la difesa di impianti vetusti e organizzazioni difettose non può più essere giustificata con “le tradizioni”, “il sapore delle sfide antiche”.

E perché i Roberto Cocco, i Salvatore Annunziata e tutti gli altri pugili che provano a essere professionisti perché amano quello che fanno meritano di essere rispettati, e aiutati una volta che hanno dimostrato di avere delle qualità. Come la merita lo spagnolo Roberto Santos (che di lavoro fa il guardiano di notte in un campeggio), venuto a Stoccarda per affrontare il pompatissimo Dominik Britsch per il titolo dell´Unione Europea per andarsene via con un pari. Perché aveva vinto, ma non avendo nessuno alle spalle finisce che se pareggia gli va pure bene. Quindi, se per caso si trovassero due minutini di tempo tra un ricorso della Juve per uno scudetto di sei anni fa o qualche altra urgentissima polemica a proposito di griglie arbitrali, fuorigioco e “quanti rigori a noi e quanti rigori a loro”, le “istituzioni” sportive potrebbero anche cercare di capire come aiutare queste persone, e chi vuole essere come loro, magari sognando di diventare come Francesco Damiani invece che come Roberto Pruzzo.

Pietro

Dovevo venire a Stoccarda per risentirla

Il faccia a faccia tra Marco Huck e Alexander Povetkin dopo il peso. Sulla destra la cintura Wba

Oggi pomeriggio, in un angolo non troppo comodo di un centro commerciale di Stoccarda (per una volta non esaltiamo la perfezione tedesca) sono state effettuate le operazioni di peso dei pugili che saranno di scena domani sera alla Porsche Arena, il cui main event possiamo identificarlo nell´incontro valido per il titolo dei pesi massimi Wba tra il detentore russo, l´imbattuto e medaglia d´oro olimpica 2004 Alexander Povetkin, contro lo sfidante Marco Huck, campione dei massimi-leggeri Wbo salito apposta di categoria.

Non sono mancate le cose curiose: prima di tutto Salvatore Annunziata (superwelter) non ce l´ha fatta a presentarsi in tempo. Il suo avversario Jack Culcay, tedesco imbattuto in dieci match, ha dovuto fare da solo. Motivazione del mancato arrivo del pugile campano? Stando allo speaker ufficiale sarebbe stato vittima di un caso di omonimia e fermato per un controllo al momento di prendere il volo per la Germania (in realtà si è trattato solo di un piccolo problema con un documento).
La locandina ufficiale dell´evento al centro commerciale

In albergo, insieme ad altri due validissimi connazionali come Alessandro Ferrarini (matchmaker) e Biagio Zurlo (allenatore e manager di Annunziata), ci sono anche Oleksiy Mazikin, peso massimo ucraino che affronta un altro tedesco imbattuto, Edmund Gerber, lo spagnolo Roberto Santos (sfidante di Dominik Britsch, imbattuto pure lui, per il titolo dell´Unione Europea dei pesi medi) insieme a moglie, padre e staff, mentre il medio-massimo torinese Roberto Cocco era pure lui in ritardo a causa di una coincidenza da Parigi e non ha fatto in tempo a cambiarsi prima di arrivare al peso. Il suo avversario, manco a dirlo, imbattuto: Robert Woge.

Con tutti questi imbattuti verrebbe il sospetto di avere a che fare con tanti fenomeni, tanto che l´incontro di Britsch viene messo in scaletta come ultimo e quindi main event vero e proprio, dal momento che ci si aspettano molti tifosi per lui. Ma di fenomenale, a prima vista, ha solo il taglio di capelli. Altri come Marcos Nader e lo stesso Gerber bisogna ancora valutarli contro avversari di alto livello. Bisogna vedere se Santos lo puo´ spettinare o meno. Di Povetkin e Huck, magari, parlo domani prima, se riesco durante e poi dopo l´incontro.

Intanto vi segnalo che Santos ha indicato come sua musica ufficiale per la salita sul ring un superclassico come “Eye Of The Tiger”. Se non la conoscete, sia chiaro, rimane un vostro problema. Mentre Annunziata porta una chicca assoluta. Chi ha visto Karate Kid sa di cosa parlo. Signore, Signori, direttamente dalla voce di Joe Esposito: “You´re The Best Around”. Eccola.

Pietro

Oggi parlo di CL

Champions League, che avevate capito?

Dunque, siccome le partite non le ho viste tutte e due in diretta (parlo di Napoli-Chelsea e OM-Inter) solo adesso mi permetto qualche riflessione:

Napoli

Complice un Chelsea difensivamente accondiscendente, con Telespalla Bob a comandare la difesa (non ditemi che quello era DAVVERO David Luiz, non ci credo), Inler ha avuto spazio per lanciare e ha mandato Cavani due volte a fare gol (con un cambio di gioco e un cross). Ok, l’ex palermitano la prima occasione l’ha sbagliata (o si potrebbe dire che Cech ha fatto una parata straordinaria), la seconda l’ha messa dentro con un pò di fortuna. O di spalla, se preferite.

Il concetto è che un giocatore ritenuto in difficoltà tecnica (Inler, appunto) è comunque quello in grado di inventare giocate decisive a questo livello anche per battere squadre come il Chelsea, al momento in una delle versioni peggiori dell’era Abramovich.

Il Napoli, tempo fa, aveva provato a mettere di fianco a Gargano (ottimo) un giocatore come Cigarini, che avrebbe dovuto proprio fare quello che oggi si chiede a Inler: dare qualità, con continuità. Cosa difficile, certo.

Ma per mandare in porta Cavani, Lavezzi o Hamsik, quando non ci riescono da soli, è fondamentale incorporare un giocatore che abbia la capacità sia di inserirsi che creare gioco (uno come Inler, appunto), ma al momento questo processo è tutt’altro che concluso. Bene fa il Napoli a difenderlo da chi lo critica e però bisognerebbe anche trovare il modo di cucirgli addosso un vestito tattico (questa è una citazione…) della sua taglia.

E poi, però, posto che con questi attaccanti il Napoli può segnare contro tutti, la difesa rimane un pò sopravvalutata a mio modo di vedere e con il massimo rispetto. Perché anche questo Chelsea, oltre al gol di Mata, si è creato almeno altre due clamorose opportunità (e la discesa palla al piede di Ivanovic, nella fascia centrale del campo, non la si può permettere).

Quindi tutto bene, anche il 3-1, il gioco, la forza espressa. Una cosa, invece, la direi a Mazzarri (che non leggerà mai, e qualora lo facesse dovrebbe giustamente fregarsene): se abbiamo voluto far sapere a tutti che la partita la si guarda a casa, poi le interviste si possono anche lasciare al vice Frustalupi che, dalla panchina, ha fatto la partita contro un (già ex?) enfant prodige come Villas-Boas.

Inter

Che dire, un pò di tenerezza c’è. Perché uno inevitabilmente vede Zanetti, Cambiasso, Samuel, Chivu, Julio Cesar, Maicon, Sneijder e pensa a due anni fa.
Poi ci si ripensa, appunto: due anni fa.

Due anni, nello sport di oggi, sono un’era geologica.

L’Inter mi sa che questo non l’ha capito. E un’altra cosa che non ha capito è che se “questa” squadra ha vinto la Champions League nel 2010, Stankovic e Cambiasso sono arrivati all’Inter nel 2004, Julio Cesar e Samuel nel 2005, Maicon nel 2006, Chivu nel 2007. E Zanetti, sia benedetto lui per sempre, nel 1995.

Questo per dire che il nucleo di questa Inter è molto più vicino alla fine che non all’inizio di qualcosa, e questo era già vero la sera della vittoria sul Bayern Monaco nel maggio di due anni fa. Non è che tutto vada cambiato e per forza, all’Inter come altrove, ma bisogna anche capire che c’è bisogno oltre che di giocatori anche di idee nuove (e questo è stato il limite del Milan negli anni scorsi, probabilmente).

Quelle che, discutibili o meno, avevano Rafa Benitez e Gian Piero Gasperini, arrivati all’Inter in modo molto diverso tra loro: uno aveva il profilo perfetto per continuare il percorso di una squadra diventata (dopo anni di tentativi a vuoto) una delle migliori d’Europa. Grande esperienza internazionale, coppe e campionati tra Liverpool e Valencia, pure due finali di CL (una vinta, anzi rimontata, e una no, sempre contro il Milan).

Gasperini, visto da fuori, è arrivato come l’unico (e il primo) che alla fine ha detto di sì: non proprio una prima scelta. Ha difeso delle idee che alla luce dei fatti erano indifendibili, ha accettato formalmente ciò che la società ha imposto per poi rimangiarsi tutto qualche mese dopo con una intervista. Amen, almeno Benitez ha avuto il coraggio (per me) di metterci la faccia da allenatore dell’Inter appena vinto il mondiale per club: o mi fate lavorare come dico, o chiamate il mio agente e ci salutiamo.

Scelta l’opzione due, ho il timore che si sia abbattura sull’Inter una maledizione, perché per rifare tutto da capo servono tempo e pazienza: esattamente ciò che in Italia, normalmente, manca. E servono, mi ripeto, idee.

Perché tutto va bene, si può cedere Eto’o, si può mettere in panchina Sneijder, si può rinunciare a Tevez. Ma l’idea alternativa a tutto questo era davvero Zarate? Se sì, allora abbiamo finito di chiacchierare. Se no, sarebbe il caso di iniziare.

Pietro

Prince Naseem Hamed vs. Gianmarco Pozzecco

Uno non ho avuto la fortuna di conoscerlo, l’altro sì. Anzi, Poz si diverte a ricordarmi che “mi ha cambiato la vita”. Non sto nemmeno a ragionare se sia vero o no, gli dico sì sulla fiducia.

Un combattimento di Prince Naseem Hamed e una partita di basket di Gianmarco Pozzecco andavano (vanno, a rivederle) prese per quel che erano: dimostrazioni di talento a prescindere. Anche a prescindere dall’effettiva concretezza della loro prestazione ai fini di un risultato immediato.

Due tipi così non potevano che piacersi: non so se Prince abbia mai visto giocare Poz, ma Poz ha visto combattere Prince e se ne è innamorato.

E allora, grazie all’inesauribile Youtube, mi sento di fare questo piccolo omaggio a entrambi. Due che hanno fatto tutto a modo loro. A prescindere.

Vi piace di più Prince?

Vi piace di più Poz?

A me tutti e due.

Pietro

A memoria sugli Spurs (dedicato a “Zuzu”)

Con il successo di stanotte in casa degli Utah Jazz, i San Antonio Spurs hanno vinto l’undicesima gara consecutiva in questa stagione. Siccome non si sa mai quanto durerà, perché per fortuna non ho la capacità di vedere il futuro, ho pensato a tutte le partite degli Spurs che ho visto per trovarne undici che ricordo particolarmente e rendere omaggio alla “mia” squadra NBA

4 aprile, 1993
San Antonio Spurs-New York Knicks 103-108

La mia prima partita NBA per intero, telecronaca di Bob Morse su TMC. Persero gli Spurs, ma io mi innamorai di David Robinson, che sbagliò anche dei tiri liberi importanti. Dall’altra parte c’era Patrick Ewing. Era tutto quello che sapevo di NBA, che gli Spurs erano i buoni (in quanto sconfitti), e i Knicks i cattivi (in quanto vittoriosi a casa “nostra”). Fino a quel momento, per me, il basket era solo la Continpesca Porto Empedocle tra serie C e serie B2, e invece di Robinson la figura del gigante era rappresentata dai gemelli Rocco ed Emanuele Susino. Una vita fa. Anzi, tante.

6 marzo, 1994
San Antonio Spurs-Orlando Magic 111-103

Partita arrivata (per me) in un momento molto particolare. Sempre TMC se non vado errato, ma all’epoca le telecronache le faceva Dan Peterson (che commentava anche la Serie A2 o mi ricordo male io?). Rimonta Spurs contro dei Magic fortissimi, ricordo pure un pericolosissimo goaltending di Dennis Rodman arrivato nel finale (con gli Spurs a +7). Lo maledissi, forse non solo io. Sbagliavo.

1 giugno, 1995
Houston Rockets-San Antonio Spurs 100-95

Se Patrick Ewing e i Knicks furono i miei primi “cattivi” della NBA, non parliamo dei Rockets di Olajuwon. Non mi sono mai ripreso da quella serie, non avevo considerato la possibilità che gli Spurs potessero perdere nell’anno in cui David Robinson è stato eletto MVP della Lega (una delle gioie sportive più sincere della mia vita). Qui stavo in Francia, la TV non era più TMC ma Canal +.

11 maggio, 1999
San Antonio Spurs-Minnesota Timberwolves 71-80

Gara-2 dei playoff, primo turno. Probabilmente avevo scuola la mattina seguente, o comunque avrei dovuto alzarmi presto. Partita orribile degli Spurs, almeno che io ricordi. A un certo punto vidi Nesterovic, appena arrivato nella NBA, confinato in panchina a prestare attenzione durante un timeout. Pensai: che spreco.

16 giugno, 1999
San Antonio Spurs-New York Knicks 89-77

Prima partita di finale NBA, i 33 punti e 16 rimbalzi di Tim Duncan impossibili da dimenticare. Ero ancora un tifoso ingenuo (e per questo genuino), da allora tra me e il tifo si sono intromesse molte cose, alcune buone e altre no. Ma come potevo non amare una squadra che ha portato a quel livello Mario Elie e Jaren Jackson, che per me erano solo oscuri giocatori con cui non riuscivo mai a fare canestro giocando con la mia Mega Drive? Chi di voi ricorda il gioco “Bulls vs Lakers”? Io sì, non ho potuto farne a meno per tantissimo tempo.

25 giugno, 1999
New York Knicks-San Antonio Spurs 77-78

Avery Johnson, e ho detto tutto. Ero felice, ho urlato nella notte. In quei giorni di disputavano i campionati Europei in Francia, l’Italia li avrebbe vinti nella mia Parigi una decina di giorni dopo. Ero diventato, da poco, amico di Daniele Baiesi (oggi scout dei Detroit Pistons), che conobbi per caso a Bologna: fu lui ad attendere me, mio fratello e mio padre all’entrata del palazzo a Casalecchio, accompagnavamo il PSG-Racing di Bozo Maljkovic in trasferta (avrebbero affrontato la sera dopo la Kinder) e ritardammo, credo, di 30 secondi all’appuntamento previsto per il bus verso il palazzo per andare a vedere tutti insieme Teamsystem-Ulker. Il coach ci lasciò a piedi, ma ci fece chiamare un taxi (secondo i racconti dal bus). “Baio” teneva ai Knicks, in quella finale, e mi chiedeva aggiornamenti mentre lui era in giro a seguire gli azzurri. Lui voleva la vittoria di Spree, invece il tiro vincente della serie lo mise (probabilmente) il più scarso di tutti, tecnicamente parlando.

21 febbraio, 2001
San Antonio Spurs-Los Angeles Lakers 99-101

Altra nottata a vuoto. I Lakers si presentarono senza Kobe Bryant. Furoreggiò Isaiah Rider. Ma è possibile? Ecco, pensai questo, ma non esattamente in questi termini.

9 maggio, 2004
Los Angeles Lakers-San Antonio Spurs 105-81

Con gli Spurs avanti 2-0 nella serie e i Lakers in grande difficoltà anche fisica (quelli con Payton e Malone), pensavo che fosse la volta buona per provare a vincere due titoli consecutivi. Spazzati via, mi arrabbiai come poche altre volte nel veder giocare Tony Parker, che accusai di essersi nascosto. Da quel momento solo Lakers, nella serie.

23 febbraio, 2011
San Antonio Spurs-Oklahoma City Thunder 109-105

I 19 punti di Gary Neal, le corse, i tiri in transizione, un gioco meno orientato alla difesa e al controllo del ritmo. Dove cavolo erano finiti gli Spurs che conoscevo? Poi ho trovato la fregatura, l’eliminazione al primo turno contro Memphis. Ma per tutta la regular season ho ammirato una squadra che ha saputo cambiare pelle adattandosi meglio alle caratteristiche e alle esigenze dei propri giocatori. Questo significa allenare. Grato a coach Popovich per averlo dimostrato.

4 febbraio, 2012
San Antonio Spurs-Oklahoma City Thunder 107-96

Partita che ricordo con grande piacere per una semplice ragione: Tony Parker, diventato quella sera il n°1 negli assist nella storia della franchigia. L’ho visto arrivare al PSG-Racing (di cui ormai da anni non perdevo una partita, e l’unico titolo vinto arrivò grazie all’ex Spurs J.R. Reid nel 1997), non era ancora maggiorenne e sarebbe stato la riserva di Laurent Sciarra (poi visto a Treviso, oggi allenatore, uno dei più bravi passatori che abbia mai visto di persona e allora playmaker anomalo col suo metro e novantacinque). Ricordo la timidezza della sua prima intervista, poi la prima volta che segnò 23 punti (contro il Gravelines? Così mi pare). E ricordo anche i suoi fratelli, T.J. e Pierre, nelle giovanili. Sono stato brevemente dirigente accompagnatore e assistente della squadra “Cadets” del PSG-Racing, T.J. giocava lì. Conservo nella mia memoria le trasferte in Normandia, dove i Parker sono cresciuti e ogni volta venivano accolti con enorme affetto. Una volta venne anche Tony in bus con noi. Vederlo oggi, sinceramente, mi fa impressione pensando a quello che era in quegli anni.

18 febbraio, 2012
Los Angeles Clippers-San Antonio Spurs 100-103

Mi stavo innervosendo, perché gli Spurs sono stati avanti tanto (e di tanto) prima di buttare tutto via nel finale. Poi l’errore sulla rimessa dei Clippers, la tripla di Gary Neal per il pareggio e quindi il supplementare, poi quella che di fatto ha deciso la vittoria per “noi”. Ho sentito tante volte, quando ha giocato a Treviso, dire di Neal che era “bravino ma non aveva le palle“. Già.

Pietro

Applaudo Siena, e sono curioso

Quattordici trofei su sedici (in Italia) dalla stagione 2006-07 a oggi. Non serve altro commento per parlare della Montepaschi Siena e di ciò che sta facendo nel basket italiano.

Giusto oggi mi sono chiesto: saranno già iniziate le grandi manovre senesi?

Perché, va sottolineato, questa squadra si avvia ad esaurirsi.

La vittoria in Coppa Italia è stata splendida, schiacciante. Controllando Sassari, scappando e poi lottando contro Milano, devastando Cantù.

Quarta Coppa Italia in quattro anni, prima squadra di sempre a riuscire in questo. Vittoriosa in campionato da cinque (vedremo come andrà ai prossimi playoff). Qualunque cosa si possa pensare di questa squadra, non si può che rispettarne la forza e la capacità di vincere. Almeno, io la penso così.

Ora sono curioso di capire come tutto questo sarà riprogettato, con un budget che verosimilmente andrà rivisto al ribasso. Ed è chiaro che non si può pensare a troppo futuro con questo roster (quattro giocatori classe ’77, due classe ’78, un ’79, due ’80, contando anche l’infortunato Kaukenas).

E allora mi piacerebbe sapere quali sono i piani, anche di Simone Pianigiani. Nel senso che rifare una squadra è sempre più difficile che farla, e ci vogliono motivazioni particolari (non inferiori, rispetto a continuare con una squadra che si conosce alla perfezione ma semplicemente diverse).

Come vorrà rifarla Siena questa squadra? Promuovendo qualcuno e rinunciando a qualcun altro? Monetizzando su McCalebb, Andersen o Lavrinovic? Provando a tenerseli tutti e tre consumando parecchio budget? O solo due? O solo uno?

Con Pianigiani? O con quale altro allenatore? Banchi? Uno straniero?

Si vedrà mai qualche ragazzo uscito dalle giovanili diventare un giocatore importante per questa squadra, posto che in passato di ottimi ragazzi ne sono passati di lì?

Aspetto con grande curiosità le risposte a tutte queste domande, perché il cambiamento ultimamente mi incuriosisce. La preparazione al cambiamento, ancora di più. Cioè sono curioso delle idee.

Pietro

Per sempre grazie a Fede Buffa. Di tutto

La copertina di Rivista Ufficiale NBA #63

C’è chi guarda Emma, Celentano e Morandi per poi lamentarsene.

Ma pensate che invece si può passare la serata facendo le cose che uno ha sempre fatto e che più gradisce, senza lamentarsene.
Io sono onorato perché lavoro per la testata che ha riportato a scrivere di basket Federico Buffa. Può piacere o no, ma io dico la mia: Federico parla come scrive e scrive come parla. Soprattutto parla e scrive come pensa.
Dentro quel cervello c’è un mondo meraviglioso non sempre comprensibile ma affascinante per chiunque abbia la volontà o la capacità di desiderare una realtà più colorata di quella che vediamo. E nessuno, o almeno nessuno che abbia letto di recente, scrive come lui. Secondo me.
Grazie ai ragazzi di SkySport (Paola Ellisse, Alessandro Mamoli e Davide Pessina in studio, grazie pure a tutti gli altri) abbiamo vissuto dei bellissimi momenti di televisione e letteratura sportiva.

E pure di sport, perché Clippers vs. Spurs è stata una partita magnifica. (Sarebbe bello se su una pay-tv cose del genere – non solo con Buffa e non solo sul basket – fossero più frequenti).

Ecco, dunque, alcuni estratti di “Il Tao dei Clippers“, da Rivista Ufficiale NBA #63 (febbraio 2012). Questi sì, godeteveli.

(Ho trovato il filmato su Youtube. E lo sto riguardando “x” volte, perché l’Artista Davide Fonte che legge Buffa mi riporta indietro di dieci anni. Peace).

Pietro

Tutto a post (sabato mattina tra calcio e pallalcesto)

Calcio

Dall’ultima partita giocata da Thiago Motta (Milan-Inter 0-1), giocatore ritenuto incedibile da Claudio Ranieri, l’Inter ha messo insieme codesti risultati:

Una vittoria (2-1 sulla Lazio giocando malissimo), un pareggio (4-4 contro il Palermo), quattro sconfitte (a Lecce, a Roma, in casa con Novara e Bologna, senza mai segnare e subendo nove gol). Va detto che Motta ha saltato (e avrebbe saltato) Lazio e Lecce comunque, a prescindere dalla cessione.

La cessione di Motta ha aperto nuovi scenari e nuovi obiettivi all’allenatore nerazzurro: giocare per non avere “il problema della coppa” nella stagione 2012-13. Un modo concreto di avanzare verso l’invocato (e giusto, come idea generale) Fair Play finanziario.

NBA

Qualche giorno fa eravamo i soliti in redazione e abbiamo fatto caso al 4-23 di pochi giorni fa. Era il record dei New Orleans Hornets prima di questo filotto di tre partite consecutive. Monty Williams, visto da fuori, mi sembra un allenatore che sa il fatto suo. La sua squadra difende benissimo e lotta sempre. Solo che perdere due All-Star (uno anche un pò più star dell’altro, cioé Paul rispetto a West) e non avere quasi mai i due giocatori più importanti arrivati per sostituirlo (Eric Gordon ha giocato solo due partite, segnando anche il tiro della vittoria a Phoenix nella prima uscita stagionale, Kaman al suo meglio s’è visto poco) è un massacro che non si merita. Non se lo merita nemmeno Marco Belinelli: trentanove punti nelle ultime due partite, diciassette questa notte quando proprio gli Hornets sono riusciti a far perdere la prima partita a Jeremy Lin (che ne ha comunque messi ventisei con cinque assist, quattro recuperi e 8/18 al tiro, ma con nove palle perse). Terza vittoria consecutiva per gli Hornets, un premio anche al lavoro di Marco, che alla NBA ci tiene come pochi altri giocatori, non solo europei.

Coppa Italia di basket

Sono curioso di vedere la partita tra Montepaschi Siena ed EA7 Emporio Armani Milano, la prima semifinale (l’altra è Bennet Cantù-Scavolini Siviglia Pesaro e mi incuriosisce lo stesso, solo un pò meno). In partita secca queste due squadre non si sono mai affrontate, in questa stagione Simone Pianigiani ha subìto la sua unica sconfitta da allenatore contro Milano e l’Olimpia non vince nulla da sedici anni (Coppa Italia e Scudetto ’96). Pianigiani regalò una battuta, dopo quella sconfitta al Forum di Assago: “Finirà sto lockout, no?”. Il riferimento era a Danilo Gallinari, che lo aveva appena battuto dominando nei minuti decisivi della partita. Motivi di interesse ce ne sono, anche per verificare se davvero Milano sta guarendo (quattro vittorie nelle ultime cinque partite tra campionato, Eurolega e Coppa Italia) oppure se Siena è ancora molto più lontana dei sei punti di distanza in classifica.