Vent’anni fa

Ero appena andato a casa di un amico, e suo padre aveva la televisione accesa.

Ricordo alcuni particolari: il canale sintonizzato (Canale 5), la grafica del TG5 con la foto di Giovanni Falcone e sotto la scritta “UCCISO”.

Quando poco tempo dopo hanno ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta, ero al mare.

Un altro amico. Una domanda scema: “Sì, ma come lo hanno ammazzato?“. Aveva importanza?

Sì, ne aveva, almeno per me.

Due bombe così, così vicine, mi hanno messo addosso un’angoscia e una tristezza dalle quali non mi sono mai liberato.

Non credo che accadrà mai, e non credo di essere l’unico a sentire tutto questo.

Il ragionamento stupido, da ragazzino, era semplice: per sparare con la pistola, o col mitra, prendi la mira. Una bomba è per tutti. Pure per me, o per chiunque altro.

Una bomba significa che non si fanno prigionieri, che nessuno è innocente, che non esistono persone che non appartengano a una guerra che non finisce mai.

Per questo quelle bombe hanno ferito anche me, e credo milioni di persone.

La cosa più triste è pensare che quelle incredibili esplosioni avrebbero almeno dovuto insegnare il valore dell’educazione, della pacatezza, del rispetto, anche del silenzio.

Non è andata così.

Pietro

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