Correva l’anno 1995. Correvano (ancora) Chambers, Wilkins e McDaniel

Un avvenimento particolare (cioé il fatto che Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden hanno segnato tutti almeno 30 punti per la stessa squadra in una singola partita, non accadeva in “questa” franchigia dal 1988) mi ha fatto tornare in mente alcuni flash. Perché ventiquattro anni fa la stessa impresa la realizzarono Tom Chambers, Xavier McDaniel e Dale Ellis con i Sonics.

E allora ricordi: flash di partite, viste in diretta, in replica o su videocassetta. Flash soprattutto di Eurosport (in Francia), che all’epoca trasmetteva le partite di Eurolega, commentate da David Cozette e Bruno Poulain.

Correva l’anno 1995, appunto, quando dalla NBA piovvero in Europa 57.765 punti così suddivisi: i 20.024 segnati nella Lega da Tom Chambers, i 25.389 di Dominique Wilkins e i 12.325 di Xavier McDaniel (tutte cifre che poi verranno leggermente ritoccate in seguito). Avevano, rispettivamente, 36, 35 e 32 anni. Chambers firmò per il Maccabi Tel Aviv, Wilkins per il Panathinaikos Atene, McDaniel per l’Iraklis Salonicco. Tutte queste formazioni partecipavano all’Eurolega (allora quella organizzata dall’ULEB non esisteva, spadroneggiava la FIBA).

Che mi ricordo, in particolare? La fatica di Chambers in una gara strapersa in casa del Pau-Orthez degli inevitabili fratelli Gadou, di un veteranissimo Darren Daye e un giovanotto di nome Antoine Rigaudeau. Ricordo pure lo show di Wilkins a Parigi, MVP delle Final Four di Eurolega: 35 punti rifilati al CSKA Mosca, 16 nella controversa finale contro il Barcellona (vinta di 1 ma con il “caso Vrankovic” alla fine, con il francese Pascal Dorizon che dimenticò di fischiare un’evidente interferenza del centro croato nel finale).

Wilkins era l’uomo delle prime volte: la prima Eurolega vinta da un club greco, poi il primo trofeo sollevato (nella stagione successiva) dalla Fortitudo Teamsystem Bologna (la Coppa Italia), anche se sappiamo che i tifosi della Effe (e non solo loro) lo ricordano soprattutto per il fallo sulla tripla di Danilovic in finale scudetto.

Ricordo pure le critiche affidate ai racconti dei giornalisti francesi, i quali si incaricavano di riportare il pensiero di Bozidar Maljkovic (allenatore di quel Panathinaikos), venerato nella terra di Marianna in quanto unico coach capace di portare una squadra bleu-blanc-rouge a vincere la massima competizione europea (il famoso Limoges, definito dell’antibasket, che sconfisse nel 1993 la Benetton di Kukoc).

Di McDaniel e della sua esperienza greca, lo ammetto, ricordo molto meno. Ad ogni modo, vi propongo tre filmati per rinfrescare la memoria, sempre che vi interessi l’argomento.

Una intervista a Tom Chambers in cui parla anche della sua esperienza a Tel Aviv QUI

Dominique Wilkins incontenibile in un Panathinaikos-Olympiacos (con accenno di rissa) QUI

Gli highlight di un Benetton Treviso-Iraklis Salonicco con un modesto McDaniel QUI

Pietro

Bisogna essere malati (ovvero, scavare nelle “serie B” straniere)

L’idea era quella di scorrere le classifiche marcatori dei “campionati cadetti” dei paesi calcisticamente più importanti d’Europa. Perché? Una semplice curiosità: quali nomi, tra questi, possono essere spendibili per un futuro a medio-alto livello?

Scopriamo che nella Serie Bwin italiana ci sono quattro giocatori nati entro il 1987 nella top 5 (o almeno questo voleva essere, salvo inevitabili casi di ex aequo), che a questo punto necessitano di essere urgentemente verificati nel campionato superiore.

Tra le curiosità: due centrocampisti tra i top scorer della Liga Adelante (la seconda divisione spagnola), ovvero Borja Garcia e Juanjo Camacho, mentre il più giovane è il tedesco Kevin Volland (’92). Voi su chi puntereste?

SERIE BWIN – Italia

1. Ciro Immobile (Pescara), ITA, 185 cm, 1990 – 21 gol
2. Gianluca Sansone (Sassuolo), ITA, 173 cm, 1987 – 18 gol
3. Marco Sau (Juve Stabia), ITA, 171 cm, 1987 – 15 gol
4. Francesco Tavano (Empoli), ITA, 173 cm, 1979 – 14 gol
5. Elvis Abbruscato (vicenza), ITA, 181 cm, 1981 – 13 gol
5. Jonathas (Brescia), BRA, 190 cm, 1989 – 13 gol

NPOWER CHAMPIONSHIP – Inghilterra

1. Richard Lambert (Southampton), ING, 188 cm, 1982 – 21 gol
2. Ross McCormack (Leeds United), SCO, 175 cm, 1986 – 15 gol
3. Jay Rodriguez (Burnley), ING, 185 cm, 1989 – 14 gol
4. Michael Chopra (Ipswich Town), ING, 175 cm, 1983 – 13 gol
4. David Nugent (Leicester City), ING, 180 cm, 1985 – 13 gol
4. Darius Henderson (Millwall), ING, 183, 1981 – 13 gol

LIGA ADELANTE – Spagna

1. Leonardo Ulloa (Almeria), ARG, 188 cm, 1986 – 19 gol
2. Borja Garcia (Cordoba), SPA, 172 cm, 1990 – 11 gol
3. Iago Aspas (Celta Vigo), SPA, 176 cm, 1987 – 10 gol
3. Juanjo Camacho (Huesca), SPA, 180 cm, 1980 – 10 gol
3. Javi Guerra (Real Valladolid), SPA, 181 cm, 1983 – 10 gol
3. Joselu (Villarreal B), SPA, 171 cm, 1991 – 10 gol

LIGUE 2 – Francia

1. Gaëtan Charbonnier (Angers), FRA, 188 cm, 1988 – 11 gol
2. Kamel Ghilas (Reims), FRA, 177 cm, 1984 – 11 gol
3. Jean-François Rivière (Clermont), FRA, 182 cm, 1977 – 10 gol
3. David Pollet (Lens), BEL, 188 cm, 1988 – 10 gol
3. Nicolas Fauvergue (Sedan), FRA, 191 cm, 1984 – 10 gol

BUNDESLIGA 2 – Germania

1. Nick Proschwitz (SC Paderborn 07), GER, 192 cm, 1986 – 15 gol
2. Olivier Occean (SpVgg Greuther Fürth), CAN, 185 cm, 1981 – 12 gol
2. Sascha Rösler (Fortuna Düsseldorf), GER, 185 cm, 1977 – 12 gol
2. Alexander Meier (Eintracht Frankfurt), GER, 196 cm, 1983 – 12 gol
5. Zlatko Dedic (SG Dynamo Dresden), SLO, 182 cm, 1984 – 10 gol
5. Christopher Nöthe (SpVgg Greuther Fürth), GER, 184 cm, 1988 – 10 gol
5. Max Kruse (FC St. Pauli), GER, 180 cm, 1988 – 10 gol
5. Dennis Kruppke (Eintracht Braunschweig), GER, 179 cm, 1980 – 10 gol
5. Kevin Volland (TSV 1860 München), GER, 179 cm, 1992 – 10 gol
5. Maximilian Beister (Fortuna Düsseldorf), GER, 180 cm, 1990 – 10 gol

Pietro

Wrecking Ball, in ascolto (grazie a “Il Post”)

In attesa di acquistare il disco, eccovi un link utile per ascoltare il nuovo disco di Bruce Springsteen – “Wrecking Ball”.

Si ringrazia sentitamente Il Post, che lo ha reso disponibile sul proprio sito.

http://www.ilpost.it/2012/03/06/il-nuovo-disco-di-bruce-springsteen/

Buon ascolto,

Pietro

Le grasse e amare cifre di Marques Green

La Sidigas Scandone Avellino, per i non avvezzi, è una formazione che milita nel campionato di Serie A di basket. Una squadra con pochi(ssimi) mezzi economici, reduce da diverse stagioni di difficoltà da questo punto di vista, ottenendo qualche tempo fa un inaspettato e prestigioso traguardo sportivo (la vittoria in Coppa Italia nel 2008 e la qualificazione alla Eurolega), e attualmente tra le migliori interpretazioni possibili del concetto di “andare oltre i propri limiti”. Da pochi giorni ha perso un altro pezzo, l’italo-belga Dimitri Lauwers, da troppo tempo girano voci circa l’instabilità economica della società.

Bene, in questo contesto, non certo facile, l’allenatore veneto Frank Vitucci fa miracoli con pochissimo materiale umano a disposizione. A dargli una mano cospicua ci pensa il playmaker Marques Green, 165 cm (ufficiali) di bontà.

Consideriamo alcune cose: all’inizio della stagione la squadra perde i due lunghi titolari. Il polacco Szewczyk se ne va a Venezia, lo statunitense Troutman gioca (e perde) la prima partita in casa di Montegranaro e poi fugge via, a Monaco di Baviera. I due vengono sostituiti con lo sloveno Jurica Golemac e lo statunitense Ronald Slay, due elementi di esperienza ma di qualità inferiore (soprattutto considerata la continuità di rendimento), oltre che di diverse caratteristiche. La squadra, di fatto, deve tutto ciò che ha (a oggi 12 vittorie in 22 partite, ottavo posto e quindi zona playoff) al suo playmaker (nell’ultima partita degli 11 uomini a referto quattro non hanno giocato e uno è andato in campo solo 3 minuti).

La situazione si è fatta più pesante nelle ultime settimane, quando il “cambio” di Green, Valerio Spinelli, si è infortunato (solo 6 minuti in campo dall’11 dicembre a oggi).

E allora ecco che il rendimento di Green, a dispetto del debito di statura e dell’inevitabile fatica, si è regolato di conseguenza. Cioè così:

Delle ultime 12 partite ne ha giocate per intero 7, in due è stato in campo 39′ su 40′ e in un’altra – considerato il supplementare – ben 44′ su 45′ (in totale 470 minuti giocati su 485).

19.2 punti di media (15.7 stagionali) con una sola gara senza raggiungere la doppia cifra (6 contro Teramo con 2/6 al tiro).

5.0 rimbalzi di media (contro 4.5 in campionato. 60 in totale, cioé il 60% del fatturato stagionale).

6.8 assist di media (contro 6.4) e 2.9 palle recuperate (2.5).

Addirittura salgono anche le percentuali al tiro, nonostante la fatica: tira meglio da due (44.8% contro il 41.5% stagionale), e da tre punti (44.3% contro 40.7%), meno bene nei tiri liberi (81.8% contro 83.3). Sale anche il dato sulle palle perse (4.4 contro 3.6), e qui la stanchezza c’entra più di qualcosa.

Sale, però, anche la valutazione complessiva (indice che tiene conto delle voci statistiche positive e negative) che fa segnare un 21.7 di media contro il 17.8 stagionale.

Occhio anche al dato più significativo: di queste ultime 12 partite Avellino ne ha vinte 7, perdendo a Milano (per un punto), Varese, Bologna, Sassari e in casa contro Cantù. Tutte squadre che oggi sono davanti alla Sidigas in classifica, anche se di poco.

Occasioni perse per la griglia dei playoff? No, logica. Avellino non può fare più di così, nelle sue condizioni ha fatto anche troppo. Voi, alla luce di queste cifre, trovereste il coraggio di chiedere a Green di fare più di così?

Vi chiederete il perché del titolo, perché queste cifre sono sia grasse che amare. Perché con una squadra migliore, magari, ogni vittoria non sarebbe un miracolo né per Green, né per Avellino: sarebbe solo una tappa per coltivare ambizioni. Così, invece, è solo lotta estrema per la sopravvivenza.

Pietro

Cose che rischiate di dire o sentire parlando di sport

Nessuno è esente da responsabilità. Nemmeno io. A tutti capita di essere ignoranti in qualche materia o semplicemente supponenti. Mi sono venuti in mente alcuni concetti (o frasi, o abitudini) che ancora resistono e che ho ritrovato anche molto recentemente parlando dei tre sport che seguo abitualmente per lavoro, ed ecco le mie piccole Top 10. In grassetto le mie preferenze. Chiedo scusa per tutte le volte che ho peccato.

CALCIO

Il problema della coppa.
Gli episodi.
L’essere cinici.
Il carattere.
La parola Scudetto (Che, notoriamente, non si pronuncia).
La piazza.
Gli pseudonimi del catenaccio.
La tecnologia snatura il gioco.
L’inaspettata rapidità delle persone intelligenti nel ragionare per stereotipi.
I giovani si bruciano.

BASKET

“Di là”, “Al piano di sopra” (Cioé nella NBA).
“Non capisco quando è passi, è troppo complicato” (Te lo spiego, non serve la laurea).
“La NBA è un circo”.
“In Europa non sanno giocare, non schiacciano come gli americani”.
“Gli americani non sanno giocare, schiacciano e basta”.
Il parlare del basket che fu descrivendo ogni squadra come un’orchestra.
Il parlare del basket che fu descrivendo ogni giocatore come un artista.
Il parlare del basket che fu descrivendo ogni allenatore come un maestro.
Tradurre le partite in equazioni che si vogliono infallibili. Chiaramente dopo.
Anche qui, i giovani si bruciano.

BOXE

“Il nuovo Tyson”.
“Il Tyson bianco”.
Tyson, come idea generale.
“Ma ve lo rompono ancora il setto nasale?”.
“Si rischia a corteggiare le donne pugili! Ah Ah Ah”.
“Non è più la boxe di Foreman e Alì” (E te credo).
I Klitschko (qui Wladimir e qui Vitali) sono scarsi.
La boxe non interessa più a nessuno (Non è vero/1 -Non è vero /2).
“Ah, si, il filippino” (Manny Pacquiao).
“Sì, però i welter mica sono i massimi” (Eh, no. Rassegnatevi).

Pietro

NBA Preview: come siamo andati finora?

La copertina di Rivista Ufficiale NBA #62

Sul numero 62 di Rivista Ufficiale NBA (gennaio 2012) abbiamo pubblicato una serie di articoli per provare a immaginarci la stagione che andava ad iniziare, accorciata a causa del lockout.

Visto che si riprende a giocare dopo l’All-Star Game, ideale giro di boa del campionato, ho voluto verificare le classifiche a metà dell’opera per vedere come stiamo andando con le nostre previsioni.

(Ri)Ecco, dunque, le classifiche immaginate da Rivista Ufficiale NBA , e tra parentesi i risultati ottenuti finora dalle squadre fino al 22 febbraio, ultima data prima del break per il weekend delle stelle (se volete, qui c’è tutto quello che occorre sapere a proposito dell’All Star Game 2012):

Eastern Conference, Atlantic Division (0/5)

1. New York Knicks (17-18, 2°)
2. Boston Celtics (15-17, 3°)
3. Philadelphia 76ers (20-14, 1°)
4. New Jersey Nets (10-25, 5°)
5. Toronto Raptors (10-23, 4°)

Eastern Conference, Central Division (3/5)

1. Chicago Bulls (27-8, 1°)
2. Indiana Pacers (22-13, 2°)
3. Milwaukee Bucks (13-20, 4°)
4. Cleveland Cavaliers (13-18, 3°)
5. Detroit Pistons (11-24, 5°)

Eastern Conference, Southeast Division (3/5)

1. Miami Heat (27-7, 1°)
2. Atlanta Hawks (20-14, 3°)
3. Orlando Magic (22-13, 2°)
4. Washington Wizards (7-26, 4°)
5. Charlotte Bobcats (4-28, 5°)

Apertura
La pagina di apertura del Season Preview

Western Conference, Northwest Division (2/5)

1. Oklahoma City (27-7, 1°)
2. Portland Trail Blazers (18-16, 2°)
3. Utah Jazz (15-17, 5°)
4. Denver Nuggets (18-17, 3°)
5. Minnesota Timberwolves (17-17, 4°)

Western Conference, Pacific Division (3/5)

1. Los Angeles Lakers (20-14, 2°)
2. Los Angeles Clippers (20-11, 1°)
3. Golden State Warriors (13-17, 3°)
4. Phoenix Suns (14-20, 4°)
5. Sacramento Kings (11-22, 5°)

Western Conference, Southwest Division (0/5)

1. Dallas Mavericks (21-13, 2°)
2. San Antonio Spurs (24-10, 1°)
3. Memphis Grizzlies (19-15, 4°)
4. New Orleans Hornets (8-25, 5°)
5. Houston Rockets (20-14, 3°)

Il totale fa 11 su 30, ma confidiamo di migliorare da qui a fine stagione. Del resto siamo la Rivista Ufficiale NBA, o no?

Pietro

C’era Milan-Juve, chissenefrega di loro. Giusto? Giusto un…

Per evitare equivoci, io capisco, ci mancherebbe. Capisco che il calcio sia lo sport più popolare d’Italia e del mondo, capisco che ci sono milioni di tifosi ovunque ansiosi di sapere come va a finire la sfida tra le prime due squadre del campionato italiano, lo capisco perché interessava anche a noi alla Porsche Arena di Stoccarda.

TUTTI I RISULTATI DI STOCCARDA

Quello che non accetto, però, è il fatto di considerare che siccome c’è quella partita di calcio tutto il resto non esiste. E non esiste perché “non ci interessa”. Una cosa che mi sono sentito dire da diversi colleghi con riferimento alla riunione di boxe che sono andato a vedere: dunque “non ci interessa” il mondiale dei pesi massimi (certo, nella versione Wba e senza i Klitschko, ma parliamo comunque di top della categoria), non interessa che ci siano due pugili italiani nel sottoclou. Un pensiero sul mondiale: per quattro persone diverse che fanno quattro lavori diversi aveva vinto Marco Huck, i cartellini di tre e quattro punti a vantaggio di Povetkin sono fantasie senza senso.

Allora parliamo di due ragazzi che accettano sfide difficilissime, a volte al di sopra delle loro possibilità, perché cercano di avere (e giocarsi) almeno un´opportunità, oltre che fare qualche soldo. Roberto Cocco (seguito a Stoccarda da Maurizio Tasso), per esempio, lavora alla Fiat e fa il combattente: dico combattente e non pugile perché pratica anche Thay e Kickboxe, ed è pure parecchio bravo (ha combattuto due settimane fa (contro Arthur Kyshenko). Se avesse avuto, come i tedeschi, un promoter in grado di proteggere il suo percorso di carriera con avversari alla portata, e la capacità di aumentare il numero delle vittorie, oggi sarebbe in una buona posizione di classifica e non dovrebbe semplicemente fare da test per un pugile come Robert Woge, ex campione tedesco dei dilettanti, che non è nulla di speciale. Woge ha vinto, Cocco non ha fatto uno dei suoi migliori match, pace. Nello sport si vince e si perde.

Salvatore Annunziata, invece, lavora al mercato con suo padre tutti i giorni, e si allena almeno due ore in palestra con Biagio Zurlo a Torre Annunziata. Ha perso pure lui, contro Jack Culcay (ex campione mondiale dei dilettanti), in un match in cui con un po’ di lucidità in più avrebbe potuto fare meglio. Ha preso un diretto destro al settimo round che lo ha mandato al tappeto, poco dopo l´arbitro ha fermato tutto. Pure lui è venuto qui, sapendo molto poco del suo avversario (perché come immaginerete durante il mercato c’è poco tempo per fare scouting), e lo ha fatto perché sta cercando “una soddisfazione. Mi dicono: ma che ci vai a fare? A perdere? E perdo, ma almeno vengo qui a giocarmela con avversari di buon livello, davanti a migliaia di persone, con l´incontro trasmesso alla tv tedesca. Magari fa piacere ai tanti napoletani che vivono in Germania vedere uno delle nostre parti in televisione, no?”.

Una soddisfazione, magari, potrebbe essere un’altra chance per il titolo italiano. Oppure qualche altra opportunità di venire a prendere una buona borsa in Germania a fronte di quelle miserie che si offrono dalle nostre parti.

A quelli che si offendono e bollano chi critica lo sport italiano come “esterofili” consigliamo di venire a vedere una volta tanto come funzionano le cose, dove funzionano. Perché tra il servizio “navetta” in Porsche e il fare tutto da soli ci deve pur essere una via di mezzo. Perché è totalmente ingiusto ricordarsi che in Italia si fa pugilato (o scherma, o atletica) solo quando ci sono le Olimpiadi. E perché la difesa di impianti vetusti e organizzazioni difettose non può più essere giustificata con “le tradizioni”, “il sapore delle sfide antiche”.

E perché i Roberto Cocco, i Salvatore Annunziata e tutti gli altri pugili che provano a essere professionisti perché amano quello che fanno meritano di essere rispettati, e aiutati una volta che hanno dimostrato di avere delle qualità. Come la merita lo spagnolo Roberto Santos (che di lavoro fa il guardiano di notte in un campeggio), venuto a Stoccarda per affrontare il pompatissimo Dominik Britsch per il titolo dell´Unione Europea per andarsene via con un pari. Perché aveva vinto, ma non avendo nessuno alle spalle finisce che se pareggia gli va pure bene. Quindi, se per caso si trovassero due minutini di tempo tra un ricorso della Juve per uno scudetto di sei anni fa o qualche altra urgentissima polemica a proposito di griglie arbitrali, fuorigioco e “quanti rigori a noi e quanti rigori a loro”, le “istituzioni” sportive potrebbero anche cercare di capire come aiutare queste persone, e chi vuole essere come loro, magari sognando di diventare come Francesco Damiani invece che come Roberto Pruzzo.

Pietro

Dovevo venire a Stoccarda per risentirla

Il faccia a faccia tra Marco Huck e Alexander Povetkin dopo il peso. Sulla destra la cintura Wba

Oggi pomeriggio, in un angolo non troppo comodo di un centro commerciale di Stoccarda (per una volta non esaltiamo la perfezione tedesca) sono state effettuate le operazioni di peso dei pugili che saranno di scena domani sera alla Porsche Arena, il cui main event possiamo identificarlo nell´incontro valido per il titolo dei pesi massimi Wba tra il detentore russo, l´imbattuto e medaglia d´oro olimpica 2004 Alexander Povetkin, contro lo sfidante Marco Huck, campione dei massimi-leggeri Wbo salito apposta di categoria.

Non sono mancate le cose curiose: prima di tutto Salvatore Annunziata (superwelter) non ce l´ha fatta a presentarsi in tempo. Il suo avversario Jack Culcay, tedesco imbattuto in dieci match, ha dovuto fare da solo. Motivazione del mancato arrivo del pugile campano? Stando allo speaker ufficiale sarebbe stato vittima di un caso di omonimia e fermato per un controllo al momento di prendere il volo per la Germania (in realtà si è trattato solo di un piccolo problema con un documento).
La locandina ufficiale dell´evento al centro commerciale

In albergo, insieme ad altri due validissimi connazionali come Alessandro Ferrarini (matchmaker) e Biagio Zurlo (allenatore e manager di Annunziata), ci sono anche Oleksiy Mazikin, peso massimo ucraino che affronta un altro tedesco imbattuto, Edmund Gerber, lo spagnolo Roberto Santos (sfidante di Dominik Britsch, imbattuto pure lui, per il titolo dell´Unione Europea dei pesi medi) insieme a moglie, padre e staff, mentre il medio-massimo torinese Roberto Cocco era pure lui in ritardo a causa di una coincidenza da Parigi e non ha fatto in tempo a cambiarsi prima di arrivare al peso. Il suo avversario, manco a dirlo, imbattuto: Robert Woge.

Con tutti questi imbattuti verrebbe il sospetto di avere a che fare con tanti fenomeni, tanto che l´incontro di Britsch viene messo in scaletta come ultimo e quindi main event vero e proprio, dal momento che ci si aspettano molti tifosi per lui. Ma di fenomenale, a prima vista, ha solo il taglio di capelli. Altri come Marcos Nader e lo stesso Gerber bisogna ancora valutarli contro avversari di alto livello. Bisogna vedere se Santos lo puo´ spettinare o meno. Di Povetkin e Huck, magari, parlo domani prima, se riesco durante e poi dopo l´incontro.

Intanto vi segnalo che Santos ha indicato come sua musica ufficiale per la salita sul ring un superclassico come “Eye Of The Tiger”. Se non la conoscete, sia chiaro, rimane un vostro problema. Mentre Annunziata porta una chicca assoluta. Chi ha visto Karate Kid sa di cosa parlo. Signore, Signori, direttamente dalla voce di Joe Esposito: “You´re The Best Around”. Eccola.

Pietro

Oggi parlo di CL

Champions League, che avevate capito?

Dunque, siccome le partite non le ho viste tutte e due in diretta (parlo di Napoli-Chelsea e OM-Inter) solo adesso mi permetto qualche riflessione:

Napoli

Complice un Chelsea difensivamente accondiscendente, con Telespalla Bob a comandare la difesa (non ditemi che quello era DAVVERO David Luiz, non ci credo), Inler ha avuto spazio per lanciare e ha mandato Cavani due volte a fare gol (con un cambio di gioco e un cross). Ok, l’ex palermitano la prima occasione l’ha sbagliata (o si potrebbe dire che Cech ha fatto una parata straordinaria), la seconda l’ha messa dentro con un pò di fortuna. O di spalla, se preferite.

Il concetto è che un giocatore ritenuto in difficoltà tecnica (Inler, appunto) è comunque quello in grado di inventare giocate decisive a questo livello anche per battere squadre come il Chelsea, al momento in una delle versioni peggiori dell’era Abramovich.

Il Napoli, tempo fa, aveva provato a mettere di fianco a Gargano (ottimo) un giocatore come Cigarini, che avrebbe dovuto proprio fare quello che oggi si chiede a Inler: dare qualità, con continuità. Cosa difficile, certo.

Ma per mandare in porta Cavani, Lavezzi o Hamsik, quando non ci riescono da soli, è fondamentale incorporare un giocatore che abbia la capacità sia di inserirsi che creare gioco (uno come Inler, appunto), ma al momento questo processo è tutt’altro che concluso. Bene fa il Napoli a difenderlo da chi lo critica e però bisognerebbe anche trovare il modo di cucirgli addosso un vestito tattico (questa è una citazione…) della sua taglia.

E poi, però, posto che con questi attaccanti il Napoli può segnare contro tutti, la difesa rimane un pò sopravvalutata a mio modo di vedere e con il massimo rispetto. Perché anche questo Chelsea, oltre al gol di Mata, si è creato almeno altre due clamorose opportunità (e la discesa palla al piede di Ivanovic, nella fascia centrale del campo, non la si può permettere).

Quindi tutto bene, anche il 3-1, il gioco, la forza espressa. Una cosa, invece, la direi a Mazzarri (che non leggerà mai, e qualora lo facesse dovrebbe giustamente fregarsene): se abbiamo voluto far sapere a tutti che la partita la si guarda a casa, poi le interviste si possono anche lasciare al vice Frustalupi che, dalla panchina, ha fatto la partita contro un (già ex?) enfant prodige come Villas-Boas.

Inter

Che dire, un pò di tenerezza c’è. Perché uno inevitabilmente vede Zanetti, Cambiasso, Samuel, Chivu, Julio Cesar, Maicon, Sneijder e pensa a due anni fa.
Poi ci si ripensa, appunto: due anni fa.

Due anni, nello sport di oggi, sono un’era geologica.

L’Inter mi sa che questo non l’ha capito. E un’altra cosa che non ha capito è che se “questa” squadra ha vinto la Champions League nel 2010, Stankovic e Cambiasso sono arrivati all’Inter nel 2004, Julio Cesar e Samuel nel 2005, Maicon nel 2006, Chivu nel 2007. E Zanetti, sia benedetto lui per sempre, nel 1995.

Questo per dire che il nucleo di questa Inter è molto più vicino alla fine che non all’inizio di qualcosa, e questo era già vero la sera della vittoria sul Bayern Monaco nel maggio di due anni fa. Non è che tutto vada cambiato e per forza, all’Inter come altrove, ma bisogna anche capire che c’è bisogno oltre che di giocatori anche di idee nuove (e questo è stato il limite del Milan negli anni scorsi, probabilmente).

Quelle che, discutibili o meno, avevano Rafa Benitez e Gian Piero Gasperini, arrivati all’Inter in modo molto diverso tra loro: uno aveva il profilo perfetto per continuare il percorso di una squadra diventata (dopo anni di tentativi a vuoto) una delle migliori d’Europa. Grande esperienza internazionale, coppe e campionati tra Liverpool e Valencia, pure due finali di CL (una vinta, anzi rimontata, e una no, sempre contro il Milan).

Gasperini, visto da fuori, è arrivato come l’unico (e il primo) che alla fine ha detto di sì: non proprio una prima scelta. Ha difeso delle idee che alla luce dei fatti erano indifendibili, ha accettato formalmente ciò che la società ha imposto per poi rimangiarsi tutto qualche mese dopo con una intervista. Amen, almeno Benitez ha avuto il coraggio (per me) di metterci la faccia da allenatore dell’Inter appena vinto il mondiale per club: o mi fate lavorare come dico, o chiamate il mio agente e ci salutiamo.

Scelta l’opzione due, ho il timore che si sia abbattura sull’Inter una maledizione, perché per rifare tutto da capo servono tempo e pazienza: esattamente ciò che in Italia, normalmente, manca. E servono, mi ripeto, idee.

Perché tutto va bene, si può cedere Eto’o, si può mettere in panchina Sneijder, si può rinunciare a Tevez. Ma l’idea alternativa a tutto questo era davvero Zarate? Se sì, allora abbiamo finito di chiacchierare. Se no, sarebbe il caso di iniziare.

Pietro