A proposito di promozione del basket (in Francia)

Addetti ai lavori e appassionati capaci di comprendere la lingua francese se ne saranno già accorti, per gli altri segnalo quanto accadrà il prossimo 20 settembre a Parigi.

La prossima edizione della supercoppa francese (che lì chiamano “Le Match des Champions”) tra l’Elan Chalon e il CSP Limoges si giocherà non all’interno di un palazzo dello sport, ma al “Palais des Congrès“.

I giocatori, quindi, saliranno sul palco in senso letterale. Mi è capitato di vedere qualcosa del genere: New York, 2010, Radio City Music Hall. In occasione del “World Basketball Festival“, i giocatori di Team USA si esibirono in una sfida amichevole tra loro, nel quadro della preparazione per i campionati Mondiali che si sarebbero svolti di lì a poco in Turchia.

Evento preceduto, tra le altre cose, da un concerto di Jay-Z, che diede vita per oltre mezz’ora a uno spettacolo di altissimo livello.

Non credo che a Parigi riusciranno a coinvolgere una personalità di livello simile, ma di sicuro l’evento merita grande attenzione.

Il basket francese, pur con tanti suoi limiti, nel corso degli anni ha cercato di sviluppare idee nuove (anche sbagliate, come la finale per il titolo su gara secca e in campo neutro, a Bercy), e questa iniziativa non fa eccezione.

Avranno anche meno soldi e meno mezzi di altri, ma se non altro qualcosa provano a fare. Ripeto, pur con tanti limiti strutturali e non. In questo, abbiamo solo da imparare. Ah, no: noi avremo i playoff tutti al meglio delle sette partite. U-A-U.

Pietro

Suggerimento: “Klitschko”, il film

Per me, da vedere.

Perché racconta una bellissima storia d’amore tra fratelli. Il fatto che entrambi siano, contemporaneamente, detentori del titolo di campione del mondo dei pesi massimi (Wba, Wbo, Ibf e Ibo per Wladimir, Wbc per Vitali) la rende assolutamente unica.

Mi piace perché è una storia vera. Mi piace perché se questi due vengono percepiti come robot, di solito, finalmente queste immagini restituiscono loro la passione, la dedizione, il calore, il talento che dovrebbe essergli sempre riconosciuto.

Vitali che dice al fratello ormai grande “I nostri genitori mi hanno detto di prendermi cura di te da bambino, e non mi hanno ancora detto di smettere“, le immagini dell’uno e dell’altro a bordo ring mentre il consanguineo è a pochi metri di distanza al centro dell’azione, commuovono. Almeno me.

Ci vuole coraggio per dire al proprio fratello di andarsene via perché disturba, quando fino a quel momento hai diviso con lui ogni momento della tua vita. Ce ne vuole per toccare sportivamente il fondo, essere bollato da tutti come un perdente e diventare un campione, come ha fatto Wladimir. Il campione, anzi, visto che sembra ormai intoccabile.

Serve un gran cuore per combattere battaglie perse una dietro l’altra nei meandri della politica in Ucraina, accettare questa sfida mettendoci la faccia e talvolta il corpo, sapere di essere forse impotente di fronte a logiche diverse, magari perderla sempre ma non smettere mai di credere che la lotta sia giusta. E tornare dopo anni, e un ritiro dovuto a un grave infortunio, per riprendersi una cintura lasciata senza combattere. Come ha fatto Vitali.

Serve un gran carattere per resistere alla dura disciplina di un padre militare quando il mondo era ancora quello dell’Ovest contro l’Est in tutti i campi, quando il mondo era quello di Chernobyl. E quel padre – con spirito di sacrificio – accetterà il suo destino di esporsi a quella contaminazione, ricavandone un cancro che lo ha portato alla morte l’anno scorso. E serve il doppio del carattere per resistere alle tentazioni e alla voglia di cambiare, una volta usciti dall’Ucraina e scoprire che il mondo, là fuori, non sembrava poi così male come era stato descritto.

Serve un orgoglio incredibile per riproporsi sul ring dopo le sconfitte orribili riportate da Wladimir Klitschko contro Sanders e Brewster. Servono due palle così per continuare a combattere come ha fatto Vitali contro Lennox Lewis, finché non lo fermarono con una ferita spaventosa sopra l’occhio sinistro.

Serve un amore infinito per prendere un cellulare in mano e chiamare la mamma appena l’incontro è finito. E per chiedere a lei come sta.

Servono pugni devastanti per battere tutti gli avversari possibili. Serve un gran senso dell’ingiustizia per dire che è colpa di questi due meravigliosi uomini se i pesi massimi e la boxe sono in crisi, come se vincere sempre dominando fosse una colpa.

Per me, il regista Sebastian Dehnhardt ha fatto un bel lavoro nel cercare di raccontare tutto ciò.

Pietro