Francesco Repice e Mario Balotelli

La copertina del libroMentre i tifosi italiani riscoprono Mario Balotelli – e lui si lascia riscoprire volentieri – ripubblico qui un piccolo estratto del libro “Inter, quella notte” (Libreria Dello Sport, 2011) scritto insieme a Matteo Mantica e Francesco Repice. Proprio il radiocronista Rai ha dedicato un pezzo a Balotelli, un “endorsement” in tempi non sospetti, non di certo un’improvvisa salita sul carro. Per questo, oggi, ve lo ripropongo qui così com’è in pagina, senza grassetti né aggiunte da parte mia.

Pietro

QUANTO CASINO PER MARIO

“Buuuuuuuuuu buuuuuuuuuuuuuuu”. Pomeriggio di una domenica qualsiasi a Verona; Chievo Verona-Inter. È sufficiente che Balotelli prenda la palla per scatenare la stupidità e l’ignoranza senza lacune di (per fortuna) pochi spettatori col cervello annacquato da chissà quali inarrivabili stronzate. Il cronista, verghianamente parlando, non fa altro che sottolineare quanto sta accadendo lasciandosi andare, poco verghianamente, ad un minimo di commento ovviamente sdegnato. Niente tuttavia che possa in qualche modo innescare la reazione piccata del presidente Campedelli, il quale a fine partita scende in sala stampa per dire che no, gli ululati razzisti non sono partiti dalla bocca dei tifosi di casa, bensì dai supporters interisti all’indirizzo di Luciano (ex Eriberto) e che sì, ancora una volta, i mezzi di comunicazione di massa se la sono presa con il povero Chievo senza azzardarsi a scalfire il granitico monolite morattiano con critiche extracalcistiche alla sua tifoseria.

Il cronista, presente alla tumultuosa conferenza stampa, fa sommessamente notare che gli ululati li ha sentiti con le sue orecchie e che il suo dovere è quello di portarli a conoscenza di chi ascolta a prescindere da dove partano e a chi siano indirizzati, perché questo è il sacrosanto diritto di chi sta seguendo la partita in radio ed è anche l’imprescindibile obbligo di chi quella partita sta raccontando. La signora Bedi Moratti, anche lei nei pressi, annuisce e il cronista si sente in qualche modo gratificato da una vicinanza così autorevole.

Ecco, tutto questo per dire che Mario Balotelli non è un mio amico; che con Mario Balotelli non ho mai parlato, all’Inter, al Manchester City, come in Nazionale; che Mario Balotelli avrebbe tutti i motivi per essere un ragazzo felice (soldi, notorietà e calci al pallone); che Mario Balotelli dovrebbe apprezzare di più ciò che la natura e la fortuna gli hanno regalato. Tutto questo però per dire anche che Mario Balotelli, ogni volta che mette piede su un campo di calcio – esclusi quelli bellissimi della Premier League – viene fatto oggetto di “attenzioni” che, al di là di ogni umana comprensione, possono e devono essere considerate di stampo razzista. A meno che tutti non ci vogliamo nascondere dietro formulette di circostanza del tipo “gli ululati servono solo a scoraggiare l’avversario e non ad offenderlo”, oppure “gli ululati sono frutto dell’ignoranza di chi non conosce nemmeno il significato delladiscriminazione razziale” eccetera, eccetera…

Non è così! Quegli ululatisono figli dell’odio che come un tarlo velenoso sta rosicchiando dalle fondamenta le nostre curve. E l’odio ha una matrice ben precisa: proviene da ambienti riconoscibilissimi e rintracciabilissimi che stanno compiendo un’operazione subdola e strisciante: sfruttare il malcontento e la rabbia di parte della popolazione per seminare il germe dell’intolleranza e dell’odio razziale appunto. Non si spiegherebbero altrimenti striscioni apparsi persino in un’amichevole che la Nazionale di Cesare Prandelli ha recentemente disputato con la Romania. “Non esistono negri italiani”, quello srotolato in bella evidenza tra un gruppetto di non (colpevolmente) meglio identificati “Ultras Italiani” che hanno preso la cattiva abitudine – da un po’ di anni a questa parte – di seguire le partite degli azzurri.

Sarà bene che certi osservatorii facciano un salto di qualità e indichino a chi di dovere le culle di questi neonati dell’intolleranza che però rischiano di crescere e fare proseliti nei nostri stadi. Detto questo, il finale di Inter-Barcellona targato Mario Balotelli rischierebbe di far saltare i nervi anche al Mahatma Gandhi e di certo ha scatenato l’incazzatura nera, bianca, rossa, gialla e viola dei tifosi interisti senza distinzione di settore e di età. Un tiro da metà campo senza capo né coda; due tentativi di sottrarre palla all’avversario (Iniesta e Pedro!!!!!) di tacco a pochi metri dall’area di rigore di Julio Cesar; altrettanti mancati ripieghi sul giocatore blaugrana che se ne andava palla al piede senza incontrare la benché minima opposizione. Così sono andate le cose in quel convulso, drammatico, spettacolare, indimenticabile finale di partita tra la banda Mourinho e l’invincibile armata di Pep Guardiola.

E tutto questo con l’Inter in vantaggio per 3-1. Vale a dire che un gol in più o in meno in quei casi fa (come poi è puntualmente accaduto) tutta la differenza del mondo. E tutto questo in una semifinale d’andata di Champions League! Il cronista di cui sopra, mai dimenticherà gli sguardi lividi di rabbia dei seguaci della

Beneamata, quando Balotelli, al fischio finale dell’arbitro, indispettito (?!?!?!?!?!) dalla reazione degli spalti di San Siro decide di mettere in atto il gesto più profondamente insultante per un tifoso: scaraventare la maglia a terra, oltraggiarla, sancendo così di fatto il suo addio a Milano. Si narra che il dopo-partita di Inter-Barcellona sia stato alquanto turbolento per Mario Balotelli. Si narra che alcuni suoi compagni di squadra si siano fatti sentire con l’attaccante bresciano… e quando diciamo “sentire” usiamo un eufemismo. Del resto, la storia interista di Balotelli, specie con José Mourinho in panchina, è stata tutta un saliscendi di condanne e perdoni; di carezze e rimproveri; di bastoni e carote. E lui, SuperMario, nulla ha mai fatto per smussare gli spigoli di un carattere indubbiamente particolare: dal finale di Inter-Barcellona, al blitz di Striscia la notizia con tanto di maglia milanista al collo, ai novanta minuti di Inter-Siena con lo scudetto 2009 già cucito sul petto e lo Special One ad imprecare nonostante un gol segnato, perché quel pallone avrebbe dovuto metterlo in porta Ibra in corsa per la classifica cannonieri ed invece Balotelli non seppe resistere alla tentazione di calciare il pallone verso il portiere avversario piuttosto che porgerlo deferentemente al suo più famoso collega di reparto che, nel frattempo, si era già graziosamente accordato proprio con il Barcellona per andare a vincere l’unico trofeo che tutt’ora non può esibire nella sua lussureggiante bacheca: la Coppa dei Campioni.

Che storia. Grazie a quella partenza, l’Inter di Moratti ha potuto ingaggiare tale Samuel Eto’o e vincere la Champions League l’anno seguente dopo centottanta minuti da delirio proprio contro il Barcellona di Zlatan. Sono le storie infinite che può regalare il calcio quando la logica del campo condurrebbe su una strada diversa da quella del Santiago Bernabeu. E dire che Mario Balotelli, un piccolo paragrafo di quella magnifica storia è, nel bene e nel male, riuscito a scriverlo. Da qui i rimpianti, finanche la rabbia per non essere riusciti a trattenere un talento così scintillante nel campionato italiano. Ci sta provando Cesare Prandelli a restituire Mario Balotelli a quello che è e rimane il suo Paese.

La maglia azzurra è forse l’unica capace di convincere SuperMario a convogliare tutta la sua forza in un progetto italianissimo come quello della nazionale. Gli Europei, il Mondiale brasiliano, obiettivi ambiziosi e nobilissimi che sono entrati nella testa e nel mirino di un giocatore straordinario quanto inquieto. Sarebbe bellissimo vederlo esultare, vincere, gioire con la maglia azzurra sulle spalle. Da titolare, da protagonista, da italiano vero. Alla faccia dei “buuuuuuuuuuuuuuuu”; alla faccia di quelli che “non esistono negri italiani”; alla faccia dei neo-razzisti che infestano i nostri stadi e che per quanto pochi possano essere fanno venire il voltastomaco solo a sentirli e vederli nelle loro infami manifestazioni di intolleranza e disprezzo verso un ragazzo con la pelle nera.

Quando Mario capirà che zittendo questi personaggi, impartirà loro una lezione severissima di civiltà e riscatterà quei suoi colleghi e non, di certo meno famosi, che sopportano quotidianamente vessazioni di ogni genere, allora anche chi racconta e vede calcio con gli occhi puliti della passione potrà urlare al cielo che sovrasta uno stadio di calcio tutta la gioia di un gol, di una vittoria firmata Mario Balotelli. Io ci spero, ci conto. Io sto con Mario Balotelli.

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