Non ero molto fiducioso che Milano riaprisse la finale scudetto di basket in gara-5 a Siena.
Avevo pronosticato una vittoria dell’EA7 in questa finale scudetto, con un 4-2. A posteriori un pronostico assurdo, ma mi ero lasciato convincere da una squadra non perfetta ma composta da numerosi giocatori forti, un allenatore esperto, reduce da tantissime vittorie consecutive (in mezzo un unico k.o. a Pesaro) e, sì confesso, mi ero lasciato convincere che la carta d’identità di molti giocatori di Siena avrebbe avuto un peso specifico maggiore rispetto alla loro qualità. Ho sbagliato, sono sportivo e riconosco i meriti di chi “mi” ha battuto.
Siena, dunque. Non ho molto da dire sul basket mostrato dalla Montepaschi Siena in questa stagione o in questa serie: certamente questa è stata la stagione con meno continuità e forse anche con meno qualità rispetto alle cinque precedenti, ma ha dimostrato di essere comunque al di sopra degli altri. Cantù non ce l’ha fatta anche perché ha perso troppi pezzi, Milano perché – questa è una mia teoria – forse dovrebbe iniziare a dire quello che pensa davvero: questa società vuole (giustamente) vincere appena possibile, vuole (giustamente) avere un peso politico maggiore, vuole (giustamente) prendere il posto di chi c’è stato finora.
Invece ci ha detto sempre e “solo” che l’importante è crescere, che agisce per il solo senso di responsabilità nei confronti della pallacanestro italiana, mentre il terzo punto sarebbe una conseguenza dei primi due. Vabbè. Io penso che Milano volesse vincere dal primo giorno, ma ha sbagliato le modalità (con riferimento al triennio precedente). Penso che volesse vincere anche dal primo giorno di questa stagione, che identifico con la presentazione ufficiale di Sergio Scariolo. Altrimenti non avrebbe messo su una squadra pescando uomini importanti dai migliori club europei. Mi è sembrato, insomma, di vedere eccessivo leziosismo. Come quelli che non pronunciano la parola scudetto, come se fosse brutto – nello sport – dichiarare di voler vincere.
Lasciamo chi ha perso e andiamo da chi ha vinto. Siena è più forte, e in una serie così lunga non si vince per gli arbitri o per la politica (frase rubata da una recente conversazione), almeno questo è il mio pensiero. Non si vincono sei scudetti consecutivi per esclusivi demeriti altrui. Non si vincono sei scudetti consecutivi se non si ha dentro qualcosa di importante. Non ho sempre condiviso l’atteggiamento di Siena, che purtroppo per lei non è mai stata la squadra di tutti gli italiani ma “solo” la squadra della sua città, vivendo qualsiasi cosa fosse all’esterno come un elemento avverso, da sconfiggere.
Ho sincera stima per chi ha costruito questa società, per chi l’ha gestita, per chi ha allenato questa squadra e ci ha lavorato intorno. Mi spiace che nel corso di queste ultime stagioni si sia (come insieme) dialogato poco con questa realtà. Sono scelte: Siena s’è goduta per sé la Mens Sana, e la Mens Sana si è goduta Siena. In fondo, questo estremo senso di appartenenza è stata la forza principale di questo club.
Non ne ho sempre condiviso nemmeno le scelte tecniche, ma chi sono io per parlare di fronte a quest’orgia di titoli e alle eccellenti partecipazioni all’Eurolega (con due Final Four conquistate in questo arco di stagioni)? A sentire le parole di Stonerook e Pianigiani, ho avuto la netta sensazione che sancissero l’ufficialità della fine di questa “belle époque” biancoverde. Vedere l’abbraccio tra il capitano e l’allenatore mi ha emozionato. Perché se sei appassionato di sport e questa scena non ti commuove allora non voglio sapere di che sport tu stia parlando.
Quello che meglio riassume questi sei anni, forse, ce lo ha detto Nikos Zisis, favoloso giocatore che dovrebbe aver giocato la sua ultima partita a Siena: “Parlare è facile, fare è difficile“. Siena ha fatto. Tanto. E quindi si merita, se non un applauso o un abbraccio, almeno una stretta di mano dai tifosi più astiosi.
Pietro