Io e la boxe: cosa cercavo, cosa ho trovato

Amanti delle figure retoriche, accomodatevi. Fuori.

Vi racconto i miei primi quattro mesi di pugilato, ma gli stereotipi non ci sono, o almeno non sono quelli che di norma affollano le storie di pugilato.

Almeno una cosa in comune con Roberto Cammarelle, star della nazionale italiana che tra poco sarà di scena alle Olimpiadi, ce l’ho: ho iniziato per dimagrire.

Non solo, però. La boxe, in me, c’è sempre stata.

È una cosa di famiglia: a oggi posso dire che tutto ciò che mi resta di un certo rapporto, che prevedeva – quando ero bambino – la visione comune con mio nonno de “La Grande Boxe” (con Rino Tommasi), e qualche grande incontro allora visibile sulle tv italiane. Eravamo in piena era Tyson.

Cos’è che mi piaceva nella boxe, da piccolo? Boh. Gli unici match che ricordo, tra quelli visti a quell’età, sono il secondo incontro tra Mike Tyson e Frank Bruno, quello tra Francesco Damiani e Daniel Neto, e poi un match dell’allora rampante Evander Holyfield che fece saltare i denti a un avversario. Ma non ricordo, mi spiace, il nome dello sfortunato.

Poche ore fa i denti stavano per saltare a me, colpa/merito di un gancio sinistro portatomi da Massimo, uno dei miei compagni di palestra.

Sembra strano, ma è lì che per la prima volta – da quando bazzico a Milano – ho trovato un posto oltre a casa mia dove sentirmi totalmente libero. Ci ho messo mezzo minuto a farmi passare l’ansia e l’imbarazzo per la mia ridicola forma fisica.

Tredici chili dopo non posso dire di essere davvero in forma, ma di certo non assomiglio a quello che ero quando per la prima volta ho varcato la soglia della “Ursus”.

No, non è un post pubblicitario. Ma non mi costa niente dire che lì ho trovato una serie di persone che al sacco, saltando la corda o sul ring mi hanno subito fatto sentire uno di loro.

Ho spesso dato la colpa a Milano del mio senso di solitudine, non so se sia veramente colpa della città o del mio carattere, comunque è bello pensare di sentirmi meno solo quando indosso fasce, guanti e paradenti.

Anche se (eccola, la retorica) ovviamente sei solo quando i colpi li dai, ma soprattutto quando li prendi. Sempre Massimo, quello del gancio, una sera mi ha detto: “Da quando hai preso il primo vero pugno in faccia ti sei svegliato, hai cominciato a sentirti vivo”. Non saprei dire se prima non mi ci sentissi, ma sì, in un certo senso ha ragione.

E se ho ancora paura – lo ammetto – quando mi arriva qualche colpo particolarmente pesante, beh, mi passerà.

Ho vinto la vergogna per il mio corpo, ho vinto la paura di buttarmi a fare pugilato dopo non aver praticato seriamente nessuno sport, ho vinto anche la paura quando ho “sentito” il primo pugno di un certo peso, che mi ha procurato il primo occhio nero della mia vita.

Vincerò anche la paura di farmi troppo male. Perché stare sul ring mi piace. La mia collega Stefania Bianchini (che commenta la boxe con me a Eurosport, ed è stata campionessa mondiale di boxe e kick boxe) mi ha detto una volta una cosa illuminante: sul ring si trova la libertà di esprimersi, al contrario di tante realtà molto più rigorose e codificate (lei faceva riferimento alle arti marziali, ma di esempi se ne potrebbero fare altri).

Quando partono quei tre minuti sai che sarai tu, la paura dei pugni, il tuo avversario. Non resta che muoversi, studiare, capire, leggere le situazioni e tirare fuori il meglio che si ha dentro. Non diventerò mai un vero pugile, del resto non è per questo che ho intrapreso questa mia piccola avventura.

Volevo solo trovare un modo di migliorare me stesso. Sapevo che avrebbe fatto bene al mio fisico, non sapevo che mi avrebbe reso più libera la testa.

E per questo, al mio maestro Francesco e a tutti gli altri che lavorano in palestra con me, istruttori e allievi, non posso che dire grazie. Di cuore.

Pietro

Momenti che avrei voluto raccontare

Mi hanno sempre affascinato i perdenti, o per meglio dire gli sconfitti. Quelli che stanno dalla parte sbagliata del destino, o di un poster. A volte sono loro che hanno alle spalle le storie migliori, o comunque quelli che sul medesimo evento sportivo potrebbero avere cose più intense, emozioni più forti da raccontare. Punto di vista del tutto personale, ovviamente. Ma a me affascina il momento decisivo, e la prima cosa che cerco di guardare è la faccia di quella, di quello o di quelli a cui va male. Ecco, a braccio, una piccola lista di “highlights” che avrei voluto poter raccontare insieme a chi li ha vissuti, col registratore acceso.

Trevor Berbick mentre cerca di trovare l’equilibrio prima del knock-out, nel match perso contro Mike Tyson (che quella sera diventò per la prima volta campione del mondo).

Gigi Di Biagio che colpisce la traversa tirando l’ultimo rigore di Francia-Italia al Mondiali del 1998.

Le sensazioni dell’intera nazionale francese di basket dopo l’incredibile tiro di Diamantidis che ha permesso alla Grecia di completare la rimonta nell’ultimo minuto della semifinale degli Europei 2005.

Bryon Russell che prova a marcare Micheal Jordan: non ho bisogno di spiegare altro. Se non conoscete l’episodio a cui mi riferisco è solo colpa vostra.

Sergei Liakhovich che crolla a pochi secondi dalla fine della sua difesa del titolo WBO dei pesi massimi contro Shannon Briggs. Avrebbe vinto ai punti.

Il nervosismo di Martina Hingis nella finale persa a “Roland Garros” nel 1999 contro Steffi Graf. Anzi, non era nervosa: proprio incazzata nera. E al pubblico francese non pareva vero di poterla fischiare in libertà.

I tiri liberi di Nick Anderson in gara-1 della Finale NBA tra Orlando Magic e Houston Rockets, nel 1995.

Ex aequo, Europei 2000: Van Der Sar che prova a salvare l’Olanda sciagurata ai rigori in semifinale contro l’Italia, e Toldo che deve arrendersi al 94′ della finale contro la Francia dopo quell’impresa miracolosa. Prima di farlo ancora nei supplementari, ma la partita “vera” era finita.

David Robinson che non riesce a venire a capo di Hakeem Olajuwon nella Finale della Western Conference 1995 tra San Antonio Spurs e Houston Rockets.

Roger Federer e la finale di “Roland Garros” contro Rafael Nadal nel 2011. Quei primi due set, porca miseria…

Pietro