Come (pochi, credo) di voi sapranno, avevamo (io, il direttore Mauro Bevacqua, l’art director Francesco Poroli) dedicato il numero 50 della rivista “Dream Team – Basketball & Lifestyle” a Gianmarco Pozzecco, offrendogli – simbolicamente ma nemmeno troppo – il ruolo di direttore per un mese.
Ne uscì un numero molto divertente, che coinvolse tantissimi personaggi dello sport, del giornalismo e anche della cultura. Nessuno voleva farsi mancare il suo Gianmarco Pozzecco, a dimostrazione ulteriore di quanto e come questo personaggio abbia inciso, non solo sul parquet.
I nomi dei “contributors”? In ordine sparso: Gianluca Basile, Danilo Gallinari, Franco Bolelli, Flavia Pennetta, Maurizia Cacciatori, Martin Castrogiovanni, Massimo Ambrosini, Francesco Damiani, Gianmaria Vacirca, Emiliano Poddi, Angelo Reale, Riccardo Romualdi, Flavio Vanetti, Andrea Zingoni&Joshua Held (Gino il Pollo), Piero Guerrini, Andrea Pecile, Livio Proli, Dino Meneghin, Charlie Foiera, il fotografo Stefano Ceretti. Chiedo scusa se dimentico qualcuno.
Grazie a Francesco Poroli (@francescoporoli su Twitter) abbiamo recuperato il file. Io ve lo regalo.
Michele Gazzetti, giornalista di Sportitalia e soprattutto amante della pizza al taglio del Woodstock, mi ha riproposto il pezzo che scrisse la sera dell’ultima partita giocata da Gianmarco Pozzecco, ad Avellino con la sua Capo d’Orlando. Ve lo ripropongo qui, insieme al video del Poz che racconta in prima persona il suo addio al basket alla trasmissione “Sotto Canestro”, su La7.
Pietro
La fantasia nel basket è morta al minuto 36’14” di gara 3 tra Avellino e Capo d’Orlando. Meo Sacchetti, coach dei siciliani, chiama il cambio e se per Fabi è solo un ingresso in campo, per Pozzecco è la fine di una carriera, il passo d’addio del talento più anarchico ed esteticamente trascinante del basket italiano. Gianmarco si toglie la canotta blu svelando una maglietta artigianale che è una sorta di testamento cestistico scritto con il pennarello nero su tessuto bianco. Tra le scapole non ci sono le otto lettere del suo cognome ma solo la scritta Chicco, dedicata al suo ex compagno e amico Ravaglia scomparso in un incidente stradale nel 1999.
E poi una serie infinita di ringraziamenti: “Grazie per avermi sopportato. Grazie di tutto. Grazie Enzo“. La dedica per il presidente che l’ha voluto e coccolato e che non era presente al palazzetto perché agli arresti domiciliari.
Il basket si sente già orfano del personaggio più picaresco e istrionico che abbia mai calcato i parquet italiani, uno di quelli che o si odia o si ama alla follia. Come testimoniano d’altra parte le sue parole a caldo, intriso in un oceano di lacrime e sudore: “Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno cercato di capire in questi 30 anni, forse nessuno ci è riuscito. Chiedo scusa se ho sbagliato, l’ho fatto solo perchè avevo un amore spasmodico per questo sport“.
Per i profani della palla arancione, è come se si fosse ritirato il Roberto Baggio del basket. Due personaggi diametralmente opposti ma uniti da un grandissimo feeling con la poesia applicata allo sport.
Pozzecco, triestino classe 1972, aveva iniziato a predicare basket in serie A nella stagione 90/91 con la Rex Udine. Da lì una sfolgorante carriera con due perle indimenticabili: nel 1999 lo scudetto vinto con la “sua” Varese e nel 2004 la medaglia d’argento leadereggiando l’Italia alle Olimpiadi. Nel 2002, proprio contro Avellino, il record di punti in serie A, 42. Dopo l’esperienza in Russia, questa sua ultima stagione trionfale in cui è stato osannato in tutti i palazzetti italiani, anche da chi l’aveva insultato per anni.
Finisce la favola della Mosca Atomica, l’uomo che più di ogni altro ha saputo essere uno spot vivente per la pallacanestro. Uno dei pochi per cui vale la pena domandarsi che basket sarebbe stato senza lui in campo. Ci mancherai tantissimo Poz.
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