Talking About Practice

Nella passata stagione ho chiesto, invano, di poter vedere qualche allenamento dell’Olimpia Milano. Non perché mi interessasse fare la spia, né perché non avessi altro da fare o (magari) anche voglia di fare altro.

La risposta è sempre stata no, per team policy e soprattutto scelta (legittima, ma che non ho condiviso) dell’allenatore Sergio Scariolo. A Milano qualche mese fa è arrivato Luca Banchi, che ha certamente un approccio meno sofisticato a livello di gestione del rapporto umano, e ha riaperto le porte durante le sacre sedute di lavoro della sua squadra.

Vado anche io all’allenamento ogni volta che posso, e questo perché è semplicemente bello per uno che fa il “giornalista di basket”, e che di base è un appassionato di basket. Perché mi ha riavvicinato al gioco, lo stesso che ho amato fin da piccolo andando (anche) agli allenamenti della squadra di Porto Empedocle (B2, allora), poi a Parigi, dove ho avuto la possibilità di vedere quotidianamente in palestra giocatori di livello assoluto (JR Reid, Richard Dacoury, Stéphane Risacher, Laurent Sciarra, Zarko Paspalj, Jure Zdovc, Eric Struelens e altri ancora) ed eccellenti allenatori, il migliore tra i quali rispondeva al nome di Bozidar Maljkovic.

Si imparano cose, per esempio a “leggere” le situazioni che poi si riproporranno durante la partita. Se anche non riesci ad acchiappare proprio tutto, almeno ti fai un’idea di quelli che sono gli orientamenti, l’idea di base, o (per chiamarla col nome più “giornalistico”) della filosofia di gioco.

Poi però c’è soprattutto il rumore della palla, osservare facce, reazioni, gesti, sorrisi, scazzi, momenti di stress particolare e di relax, la gestione di questi momenti con i carichi di lavoro in allenamento, la complicità che si instaura tra determinati elementi, quei piccoli cenni che diventano rituali con allenatori, ragazzi dello staff e giocatori che poi si traducono in familiarità, che non significa confidenza.

È un modo, insomma, di recuperare un certo rapporto umano che mi è mancato, e che probabilmente manca all’interno della nostra pallacanestro. Una piacevole riscoperta, che di sicuro restituisce un po’ di senso al lavoro che si fa nel seguire una squadra per una stagione intera. Ci si sente meno estranei, meno soloni, anche meno scemi a provare a immaginarsi delle cose per poter fare delle analisi evidentemente superficiali.

Tutto questo non rappresenta una novità per quei colleghi o semplici curiosi che sono abituati a frequentare gli allenamenti delle “loro” rispettive squadre. Lo è a Milano, e per questo ringrazio Luca Banchi che mi ha permesso di riscoprire quel lato meno distaccato e cinico che in molti altri momenti delle mie giornate è l’assoluto protagonista. Quelle due ore in palestra e mezza, per me, sono anche un modo di concentrarmi su ciò che amo davvero e lasciare fuori tutte quelle cose che nel corso del tempo si sono intromesse tra me e la passione genuina che mi ha condotto fino a qui.

E dunque, grazie.

Pietro

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