La seconda occasione

Il 19 settembre 2012 ero in coda per entrare in Autostrada A8, all’altezza di Busto Arsizio. Una coda piuttosto frequente, al mattino, per via dei tantissimi pendolari che si muovono per lavoro.

Due cose in particolare ricordo di quella mattina: una per me decisamente inusuale, l’altra per ovvi motivi.

Quella inusuale è che, pur non essendo un grande amante delle formalità e non avendo grande dimestichezza con la gestione dei rapporti familiari, decisi di tornare in casa dall’ascensore prima di andare via. Pensai che fosse meglio salutare i miei genitori. In quel periodo vivevo a casa loro, un intermezzo di pochi mesi tra due appartamenti in affitto a Milano.

Qualche minuto dopo aprii gli occhi dentro la mia prima auto, o quel che ne rimaneva. Ho imparato a guidare molto tardi, la mia prima auto fu una Y Elefantino usata da pochi euro: mi ci affezionai subito.

Quella piccola macchina mi aiutò a farmi tante domande prima di tutto sulla pigrizia e sulla paura: la prima, perché mi ha fatto aspettare tanto prima di decidermi a prendere la patente e dunque scoprire (meglio, realizzare) quante cose avrei potuto fare da solo se solo avessi avuto la capacità di muovermi in maniera indipendente già da qualche anno prima; la seconda, perché mi mise a confronto con la domanda che mi facevo, mi faccio e mi farò un po’ troppe volte quando si tratta di prendere una decisione sul piano personale: “e poi che succede se…?”

Domande stupide come questa possono condizionarci più di tantissimi problemi reali, nel senso di tangibili, e il solo pensiero di darsi una risposta che potrebbe essere negativa dovendo poi affrontarne la conseguenza può anche essere paralizzante.

“E poi che succede se…?”

Ero in quella auto, dunque, o quel che ne rimaneva. Era tutto distrutto, autoradio espulsa, la parte posteriore completamente schiacciata, per fortuna tenne il vetro e i finestrini anteriori ressero l’urto senza esplodermi addosso. Ricordai di aver sentito un rumore simile a una frenata, e poi di aver avuto come un conato di vomito. Poi niente.

Anzi, poi quella scena. Tutto distrutto intorno a me, il cellulare volato via. La prima reazione fu di capire se avessi tutto ancora al suo posto.

Fase 1, tastare: gambe ok, braccia ok, mani ok, faccia ok. Niente sangue se non una lievissima escoriazione al pollice.

Fase 2, avvisare: presi il telefono, nonostante lo schermo un po’ danneggiato perfettamente utilizzabile. Chiamai mamma, papà, fratello, fidanzata, colleghi di lavoro, un amico con cui avrei dovuto pranzare. “Un incidente, niente di che, sto bene”.

Fase 3, consolare: il ragazzo che si aggirava disperato attorno alla mia auto, pare a causa di un colpo di sonno, mi aveva travolto con il suo piccolo (per fortuna) camion. Vedendomi svenuto pensava probabilmente di avermi ammazzato. Da non so quale auto arrivarono a soccorrermi e non so chi ebbe la buona idea di spaccare un finestrino per tirarmi fuori, le portiere erano completamente bloccate. Una volta fuori il povero camionista ebbe una specie di crisi, almeno così mi sembrò. Ero intero. “Stai tranquillo”. Poco dopo ero in ospedale e stavolta vomitai sul serio.

Da quel momento partirono le domande: cosa era successo, come, perché. Sinceramente non aveva importanza, ero intero e mi bastava. Da quel giorno, ogni volta che si è parlato di questa storia è venuta fuori la parola miracolo, per chi crede ai miracoli. Da quel giorno, e per qualche tempo che non so definire, ho iniziato a fare propositi. Quel giorno, mi dissi, iniziava una seconda vita. Da quel giorno, mi dissi, avrei dovuto fare… L’elenco dei cambiamenti in programma è noioso e troppo lungo.

La verità è che oggi, undici anni dopo quel 19 settembre, di domanda me ne è rimasta una sola: che ne è di quei propositi?

Mi sono dato una serie di risposte. Sono davvero cambiato? No. Ho capito cose che avrei dovuto capire? Qualcuna. Ho fatto scelte sbagliate sapendo di farle? Eccome. Ho fatto scelte intelligenti? Più di una, spero, ma non ne avrò mai davvero la certezza. Ho avuto cura di me? A volte. Sono una persona diversa? Sono solo invecchiato, perché ho scoperto che quell’evento non mi ha davvero mai cambiato. Anzi, direi che non ha nemmeno influito, e così anche la retorica è sistemata.

Sono un sopravvissuto, certo, come tanti altri magari da episodi peggiori. Ecco, forse sono un sopravvissuto in molti sensi, forse è questa l’unica sensazione che rimane davvero sulla pelle. Forse, se dovessi dire davvero cosa è cambiato, è che ho dato un peso diverso al concetto di seconda occasione. Ne ho avuta innegabilmente una, ma quello che sono è rimasto quello che ero. Errori compresi.

Pietro

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