Per evitare equivoci, io capisco, ci mancherebbe. Capisco che il calcio sia lo sport più popolare d’Italia e del mondo, capisco che ci sono milioni di tifosi ovunque ansiosi di sapere come va a finire la sfida tra le prime due squadre del campionato italiano, lo capisco perché interessava anche a noi alla Porsche Arena di Stoccarda.
TUTTI I RISULTATI DI STOCCARDA
Quello che non accetto, però, è il fatto di considerare che siccome c’è quella partita di calcio tutto il resto non esiste. E non esiste perché “non ci interessa”. Una cosa che mi sono sentito dire da diversi colleghi con riferimento alla riunione di boxe che sono andato a vedere: dunque “non ci interessa” il mondiale dei pesi massimi (certo, nella versione Wba e senza i Klitschko, ma parliamo comunque di top della categoria), non interessa che ci siano due pugili italiani nel sottoclou. Un pensiero sul mondiale: per quattro persone diverse che fanno quattro lavori diversi aveva vinto Marco Huck, i cartellini di tre e quattro punti a vantaggio di Povetkin sono fantasie senza senso.
Allora parliamo di due ragazzi che accettano sfide difficilissime, a volte al di sopra delle loro possibilità, perché cercano di avere (e giocarsi) almeno un´opportunità, oltre che fare qualche soldo. Roberto Cocco (seguito a Stoccarda da Maurizio Tasso), per esempio, lavora alla Fiat e fa il combattente: dico combattente e non pugile perché pratica anche Thay e Kickboxe, ed è pure parecchio bravo (ha combattuto due settimane fa (contro Arthur Kyshenko). Se avesse avuto, come i tedeschi, un promoter in grado di proteggere il suo percorso di carriera con avversari alla portata, e la capacità di aumentare il numero delle vittorie, oggi sarebbe in una buona posizione di classifica e non dovrebbe semplicemente fare da test per un pugile come Robert Woge, ex campione tedesco dei dilettanti, che non è nulla di speciale. Woge ha vinto, Cocco non ha fatto uno dei suoi migliori match, pace. Nello sport si vince e si perde.
Salvatore Annunziata, invece, lavora al mercato con suo padre tutti i giorni, e si allena almeno due ore in palestra con Biagio Zurlo a Torre Annunziata. Ha perso pure lui, contro Jack Culcay (ex campione mondiale dei dilettanti), in un match in cui con un po’ di lucidità in più avrebbe potuto fare meglio. Ha preso un diretto destro al settimo round che lo ha mandato al tappeto, poco dopo l´arbitro ha fermato tutto. Pure lui è venuto qui, sapendo molto poco del suo avversario (perché come immaginerete durante il mercato c’è poco tempo per fare scouting), e lo ha fatto perché sta cercando “una soddisfazione. Mi dicono: ma che ci vai a fare? A perdere? E perdo, ma almeno vengo qui a giocarmela con avversari di buon livello, davanti a migliaia di persone, con l´incontro trasmesso alla tv tedesca. Magari fa piacere ai tanti napoletani che vivono in Germania vedere uno delle nostre parti in televisione, no?”.
Una soddisfazione, magari, potrebbe essere un’altra chance per il titolo italiano. Oppure qualche altra opportunità di venire a prendere una buona borsa in Germania a fronte di quelle miserie che si offrono dalle nostre parti.
A quelli che si offendono e bollano chi critica lo sport italiano come “esterofili” consigliamo di venire a vedere una volta tanto come funzionano le cose, dove funzionano. Perché tra il servizio “navetta” in Porsche e il fare tutto da soli ci deve pur essere una via di mezzo. Perché è totalmente ingiusto ricordarsi che in Italia si fa pugilato (o scherma, o atletica) solo quando ci sono le Olimpiadi. E perché la difesa di impianti vetusti e organizzazioni difettose non può più essere giustificata con “le tradizioni”, “il sapore delle sfide antiche”.
E perché i Roberto Cocco, i Salvatore Annunziata e tutti gli altri pugili che provano a essere professionisti perché amano quello che fanno meritano di essere rispettati, e aiutati una volta che hanno dimostrato di avere delle qualità. Come la merita lo spagnolo Roberto Santos (che di lavoro fa il guardiano di notte in un campeggio), venuto a Stoccarda per affrontare il pompatissimo Dominik Britsch per il titolo dell´Unione Europea per andarsene via con un pari. Perché aveva vinto, ma non avendo nessuno alle spalle finisce che se pareggia gli va pure bene. Quindi, se per caso si trovassero due minutini di tempo tra un ricorso della Juve per uno scudetto di sei anni fa o qualche altra urgentissima polemica a proposito di griglie arbitrali, fuorigioco e “quanti rigori a noi e quanti rigori a loro”, le “istituzioni” sportive potrebbero anche cercare di capire come aiutare queste persone, e chi vuole essere come loro, magari sognando di diventare come Francesco Damiani invece che come Roberto Pruzzo.
Pietro
Per come è finita, il calcio non sembra nemmeno più uno sport.